Con la sentenza n. 13144 del 23/06/2015 della Corte di Cassazione si è giunti ad una fondamentale distinzione nell’ambito della prestazione d’opera professionale e del relativo compenso, tra l’attività intellettuale espletata personalmente dal professionista destinatario dell’incarico, rispetto alle “società tra professionisti” cui si connotano sempre più diffusamente sia le attività c.d. “protette”, per il cui esercizio è necessaria la iscrizione in appositi albi, sia quelle “non protette” per le quali non occorre essere iscritti ad un ordine.
Nella specie, una società di professionisti otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di un (ex) cliente per il compenso non corrisposto a titolo di tenuta della contabilità fiscale espletata nel corso degli anni, a cui fece seguito una opposizione fondata sulla eccezione di maturata prescrizione triennale del diritto alla percezione ai sensi dell’art. 2956, n. 2 c.c.; mentre in primo grado il tribunale accolse la suddetta eccezione, in secondo grado la Corte riformò la pronuncia ritenendo non applicabile ai crediti derivanti da attività intellettuali rese dalle società commerciali l’art. 2956 n. 2 c.c., viceversa riferito “strictu sensu” alla figura del “professionista”.
Seguiva quindi il ricorso per cassazione e la rimessione alle Sezioni Unite.
Innanzitutto, occorre inquadrare normativamente la vicenda, notevolmente mutata rispetto all’originario impianto di cui all’art. 2 della legge n. 1815 del 1939 (abrogato dall’art. 24, legge n. 266/1997), che prevedeva il divieto di svolgere in forma societaria attività di assistenza o consulenza legale, tecnica, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria (le c.d. professioni “protette”) in forza della natura personale della prestazione prevista dagli artt. 2230 e segg. c.c.; decisivi sono stati, riguardo all’ammissibilità dell’espletamento in forma societaria delle professioni intellettuali, l’art. 16, comma I, d. lgs. n. 96/2001, che ha consentito la costituzione di società di avvocati in s.n.c., l’art. 10 Legge n. 183/2011, che ha decretato la facoltà di esercitare tutte le professioni “protette” nelle forme societarie sia di persone che di capitali, facoltà poi estesa anche a quelle “non protette” dall’art. 1, Legge n. 4/2013.
I suddetti mutamenti hanno in un certo senso fatto “barcollare” il tradizionale concetto di “professionista”, il cui lavoro intellettuale basato sul diretto contatto con la clientela è prevalente rispetto all’organizzazione dei fattori di impresa. In tema di prescrizione del diritto al compenso del professionista, la presunzione triennale sottende la sua ratio nel porre un limite breve e certo al difficoltoso onere incombente sul debitore di provare l’adempimento della controprestazione per un’attività basata su occasionalità e personalità del rapporto. Pertanto, la questione dell’applicabilità alle società di professionisti della prescrizione presuntiva va risolto tenuto conto non già della figura del titolare del credito, bensì della natura del rapporto da cui sorga il credito.
Nella specie, tuttavia, la disciplina del contratto d’opera intellettuale presuppone l’esercizio personale della professione, con conseguente “necessità che chi si obbliga a fornire la prestazione intellettuale sia una individuata persona fisica”, limitando l’intervento di terzi nella esecuzione dell’opera alla collaborazione ausiliaria di cui all’art. 2232 c.c. Da ciò deriva la esclusione dall’ambito applicativo dell’art. 2956 n. 2 c.c. dell’attività professionale svolta in forma societaria sulla base del seguente principio di diritto: “la prescrizione presuntiva triennale del diritto dei professionisti, per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative (art. 2956, n. 2 c.c.), trova la sua giustificazione nella particolare natura del rapporto di prestazione d’opera intellettuale dal quale, secondo la valutazione del legislatore del 1942, derivano obbligazioni il cui adempimento suole avvenire senza dilazione o, comunque in tempi brevi, e senza il rilascio di quietanza scritta.
Ne consegue, in un regime nel quale il contratto d’opera professionale sia caratterizzato dalla personalità della prestazione, non solo che ad una società può essere conferito soltanto l’incarico di svolgere attività diverse da quelle riservate alle professioni c.d. protette, ma anche che deve necessariamente essere utilizzato uno strumento diverso dal contratto d’opera professionale e che perciò alla società non può essere opposta la prescrizione presuntiva triennale”.
Avv. Dario Coglitore