Quando l’inquadratura avveniva attraverso il mirino.
di Andrea di Napoli
La consuetudine di utilizzare il proprio telefonino per scattare ripetutamente i cosiddetti “selfie” è ormai diffusissima. E’inesatto considerare i risultati di questa divertente pratica allo stesso modo di quelli ottenuti utilizzando l’autoscatto degli apparecchi fotografici. Infatti, l’autoscatto è un dispositivo che ritarda di qualche secondo l’apertura dell’otturatore evitando di registrare le vibrazioni dovute alla pressione del pulsante di scatto. Altra cosa, invece, sono gli autoritratti che raffigurano lo stesso fotografo, anche in gruppo, nell’istante in cui sta “catturando” personalmente l’immagine. Dovunque e in qualsiasi momento è diventato facilissimo fotografare se stessi, i propri amici e l’ambiente circostante, ma non è stato sempre così semplice, per chi si trova dietro l’obiettivo, stabilire gli esatti contorni della scena ripresa.
Le fotocamere sono state dotate, nel tempo, di cornicette metalliche, mirini “a traguardo”, fessure o finestrelle, specchietti ed altri sistemi ottici per rendere più agevole ai fotografi inquadrare i propri soggetti. Nel corso degli anni le macchine fotografiche hanno subito trasformazioni radicali sia nell’aspetto estetico, attraverso un design sempre in linea con il gusto dei tempi, sia, ovviamente e soprattutto, nelle caratteristiche tecniche e nella precisione degli strumenti messi a disposizione dell’utilizzatore finale dell’apparecchio, ovvero del professionista, del fotoamatore e del principiante.
Valutazioni e scelte
In realtà il soggetto si trova inserito in un determinato contesto. Nel momento in cui individuiamo la nostra inquadratura è opportuno cercare di isolarlo da tutto ciò che rimane escluso, perché la fotografia dovrà bastare a se stessa, “completandosi” in una forma autonoma dall’ambiente circostante. Sarà opportuno pertanto lasciare fuori dall’inquadratura tutti quegli “elementi di disturbo”(automobili, rami e fogliame invadente, passanti curiosi, ombre indesiderate) che potrebbero distrarre l’osservatore dal soggetto principale. Per riuscirci può essere utile, prima dello scatto, osservare il soggetto attraverso una cornice creata dalle nostre dita.
Uno specchietto reversibile, un vetro smerigliato o il caratteristico pozzetto posto sopra il corpo macchina, hanno costituito a lungo il mirino attraverso cui era possibile inquadrare il soggetto, accostando la macchina al petto o all’addome, per osservarne dall’alto l’immagine capovolta. Tuttora prestigiose aziende producono apparecchi di alta qualità che utilizzano il pozzetto su una o due ottiche di grande precisione.
Vecchi slogan pubblicitari
Intorno agli anni Trenta del ‘900, con la produzione di macchine fotografiche pratiche e leggere, il mirino fu spostato per consentire l’inquadratura accostando velocemente il dispositivo al viso ed osservando, attraverso un oculare galileiano, l’aspetto più autentico (e, perciò, meno gradito ai surrealisti) di una realtà dinamica, anzi frenetica, sempre in trasformazione.
Comprensibilmente questo semplice accorgimento modificò profondamente l’approccio alla fotografia e la principale casa costruttrice, la Leica, incoraggiò la nuova tendenza, sostenendo che portare la fotocamera all’altezza degli occhi consentiva di realizzare le fotografie “con la testa e non con la pancia”.
Per reclamizzare una delle prime macchine fotografiche destinate al vasto pubblico, nella seconda metà del sec. XIX, la più nota azienda americana ne vantava l’estrema semplicità d’uso, ricorrendo ad uno slogan rimasto famoso: « Voi premete il pulsante di scatto, a tutto il resto pensa la Kodak!» E, tutto sommato, sembra proprio che, negli anni successivi, molti fotografi si siano effettivamente limitati a fare solo questo.