Il nostro ordinamento giuridico riconosce la proprietà privata come inviolabile nei limiti prescritti dall’art. 42 Cost., e dunque il titolare ha il diritto di godere e disporre del proprio bene in modo pieno ed esclusivo (art. 832 c.c.).
Da ciò consegue che ogni attività svolta dal terzo volta a ledere e/o turbare l’uso ed il godimento suddetto, legittima il proprietario ad agire per ottenere la cessazione della turbativa, oltre al risarcimento del danno conseguente.
La soglia della normale tollerabilità
A norma dell’art. 844 c.c., le immissioni di fumo, di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino sono da accettare come legittime sin quando non superino appunto la soglia della “normale tollerabilità”. Tale norma trova applicazione ogni qualvolta l’immissione impedisca al proprietario di godere nel modo pieno e pacifico del proprio bene. In verità il legislatore, nel prevedere detti limiti, non ha inteso tutelare solamente il diritto di proprietà e le facoltà del titolare ad esso connesse, bensì anche – e soprattutto – il diritto alla salute che, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione (così Cass. Civ., Sez. Unite, n. 10186/1998), deve sempre prevalere sui contrapposti interessi legati all’esercizio di attività produttive ed economiche svolte dal vicino (per tutte, Cass. Civ., n. 5564/2010).
I rimedi giudiziari predisposti al fine di fare cessare le turbative derivanti dalle immissioni intollerabili, sono essenzialmente due: una tutela inibitoria, tesa appunto ad ottenere un ordine del giudice che faccia cessare in via d’urgenza l’attività di turbativa, e l’altra di tipo risarcitorio di fonte extracontrattuale (art. 2043 c.c.), al fine di ristorare il soggetto che subisca un pregiudizio dalle suddette attività.
Profilo processuale
Ebbene, sotto il profilo strettamente processuale, l’art. 7, comma II, n. 3 c.p.c., individua una competenza esclusiva per materia del giudice di pace, a prescindere dal valore della causa, “per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità”.
Detta competenza esclusiva, tuttavia, per elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, ha subito talune eccezioni con riferimento sia alla natura e/o provenienza delle immissioni moleste, sia con riguardo alla causa petendi dell’azione da intraprendere.
Vari profili
Sotto il primo profilo, si è correttamente ritenuto che “in tema di immissioni, la competenza del giudice di pace ex art. 7, comma 3, n. 3, c.p.c. è tassativamente circoscritta alle cause tra proprietari e detentori di immobili ad uso abitativo, esulando da essa le controversie relative ad immissioni provenienti da impianti industriali, agricoli o destinati ad uso commerciale, giacché la norma processuale non copre l’intero ambito applicativo dell’art. 844 c.c.. Sicché, qualora l’immobile, seppure a prevalente destinazione abitativa, sia utilizzato anche per scopi diversi, ai fini della determinazione della competenza occorre dare rilievo non già alla destinazione prevalente, né alla classificazione catastale del bene, ma alla fonte dei fenomeni denunciati.
Il caso di immissioni di rumore nella fattispecie
(Nella specie, la S.C. ha dichiarato la competenza del tribunale su una domanda avente ad oggetto la cessazione di immissioni di rumore derivanti dallo svolgimento di feste e ricevimenti con intrattenimento musicale negli spazi esterni di un immobile, concessi dai proprietari a terzi dietro pagamento di un corrispettivo per ciascun evento, non essendo tali fenomeni immissivi ricollegabili in alcun modo all’ordinaria destinazione del bene ad uso abitativo)” (Cass. Civ., n. 19946 del 23 luglio 2019).
Le controversie tra proprietari
Pertanto, il legislatore, avendo inteso limitare, in materia di immissioni, la devoluzione alla competenza del giudice di pace delle controversie tra proprietari (e detentori) di immobili specificamente adibiti a “civile abitazione”, ha evidenziato la propria scelta di riservare al tribunale – evidentemente per i maggiori interessi in gioco – la valutazione sulla tollerabilità delle immissioni che coinvolga anche solo uno degli immobili non adibito a civile abitazione, in quanto destinato ad attività industriali, commerciali o agricole (così, in dottrina, A. Scarpa, La competenza del giudice di pace in materia di immissioni, nota a G.d.P. Monza, 17 luglio 2007, in G. Pace, 2008. Nella giurisprudenza di merito, cfr. ex pluribus, Trib. Vicenza, 08/02/2007, in Giur. Merito, 2007; Trib. Monza, 21/11/2006, in G. Pace 2007; Trib. Reggio Calabria, 25/06/2006, in Mer., 2007).
Il regolamento condominiale
L’altra importante eccezione al criterio di attribuzione della competenza per materia al giudice di pace in materia di immissioni, sussiste allorquando la domanda giudiziale sia fondata in forza del divieto di immissioni contenuto nel regolamento contrattuale condominiale: in tale ipotesi, a parere della S.C., la competenza per materia è devoluta al tribunale.
La Suprema Corte di Cassazione precisa che…
In particolare, la Suprema Corte di Cassazione, nella ordinanza n. 22730/2017, premettendo che “la materia affidata al giudice di pace è esclusivamente quella delle immissioni, disciplinata e regolamentata secondo i meccanismi delineati dall’art. 844 c.c., il quale impone di valutare la normale tollerabilità e di tener conto, a tale fine, dei criteri del contemperamento delle contrapposte esigenze e della priorità di un determinato uso”, ha precisato che “viceversa, se la domanda giudiziale è fondata sulla opponibilità di uno specifico divieto contenuto nel regolamento condominiale, essa è estranea alla competenza stabilita dall’art. 7, comma 3, n. 3. c.p.c.”, e ciò in quanto, “quando si invoca, a sostegno dell’obbligazione di non fare, il rispetto di una clausola del regolamento contrattuale che restringa poteri e facoltà dei singoli condomini sui piani o sulle porzioni di piano in proprietà esclusiva, il giudice è chiamato a valutare la legittimità o meno dell’immissione, non ex art. 844 cod. civ., ma esclusivamente in base al tenore delle previsioni negoziali di quel regolamento, costitutive di un vincolo di natura reale assimilabile ad una servitù reciproca” (Cass. Civ., n. 22730/2017. Conforme, per tutte, Cass. Civ., n. 1064/2011).
La causa petendi
Pertanto, conclude la S.C., al fine di stabilire la competenza del giudice in materia di immissioni, occorrerà analizzare la causa petendi della domanda: se essa “mira ad ottenere la valutazione della normale tollerabilità dell’immissione in base ai criteri del contemperamento delle contrapposte esigenze e della priorità di un determinato uso la competenza è del giudice di pace; se la domanda mira invece a far valere (anche) il rispetto di una clausola del regolamento condominiale si è al di fuori dell’ambito applicativo della citata norma del codice di rito civile”. In tale ultimo caso, dunque, la competenza sarà attribuita al tribunale.