Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Quel Festino bagnato di sangue

Un culto che ogni 15 luglio, giorno del ritrovamento delle sue ossa su Monte Pellegrino, riunisce il popolo palermitano attorno alla venerazione di Rosalia come Santa della Chiesa Cattolica. Una devozione che nel Festino trova il suo massimo compimento, però non dimenticando che uno dei festini più sanguinosi fu quello del 1820, finito in un bagno di sangue

di Sara Favarò

Rosalia Sinibaldi, la Santuzza che i palermitani venerano con il tradizionale Festino, si presume che sia nata nel 1130 in una famiglia nobile, la cui discendenza, da parte di padre, si fa risalire al Re Carlo Magno, mentre la madre, Maria Guiscardi, pare fosse imparentata con i Normanni.

La giovane, promessa all’età di dodici anni ad un baldo cavaliere, giunta ai quattordici anni, decise di non accettare quel matrimonio che le veniva imposto. Rinunciò alla sua vita agiata per ritirarsi in preghiera. La sua prima destinazione fu un monastero di monache basiliane, per poi intraprendere la strada dell’eremitaggio, che pare fosse in voga in quel secolo. Si recò sul monte Quisquina, dove visse sette anni, poi nel querceto di Bivona, dove trascorse altri cinque anni e, infine, sul Monte Pellegrino di Palermo, dove visse gli ultimi anni della sua breve esistenza in preghiera e penitenza.

Si ipotizza che la sua morte risalga al 4 settembre del 1170

La leggenda narra che una donna ammalata, Girolama La Gattuta di Ciminna, dopo essere stata invitata dalla Santa a recarsi sul Monte Pellegrino, mentre si trovava nella grotta, si assopì e, in sogno, vide la Madonna con Santa Rosalia che le indicò il punto esatto dove erano sepolte le sue ossa.

Il 15 luglio gli scavi nella grotta portarono alla luce frammenti ossei incastonati nella pietra, che furono poi portati dal Cardinale Giovanni Doria. Questi li fece esaminare da una commissione di esperti che espressero seri dubbi che si trattasse di resti femminili.  Ma tale verdetto suscitò molto malumore, sia nel popolo che nel Senato palermitano. Venne istituita una seconda commissione che ribaltò il risultato della prima. Venne, infatti, rinvenuto, tra i vari resti, un teschio di piccole dimensioni, sicuramente appartenuto ad una donna. Poiché secondo il racconto della sua vita, Rosalia era stata l’unica donna a vivere nella grotta, venne dato per certo che quelli fossero i suoi resti.

Da allora, Rosalia è venerata come Santa dalla Chiesa cattolica, e il suo culto è uno dei più diffusi a Palermo e nell’intera Sicilia. Il tradizionale Festino di Santa Rosalia, celebrato in suo onore, annualmente coinvolge centinaia di migliaia di persone.

Il Festino vestito di sangue che la storia ricorda tra i tanti celebrati con grande giubilo

Nel luglio del 1820, a Napoli, scoppiò una rivolta che costrinse il Re a concedere la Costituzione. Il Re, Ferdinando I aveva abrogato la Costituzione precedente e promulgato una nuova legge, suscitando malcontento tra la classe popolare ed anche tra gli aristocratici. Quest’ultima Costituzione prevedeva anche l’abolizione di alcuni privilegi secolari detenuti dalla potente classe aristocratica siciliana.

Durante la processione del Festino di Santa Rosalia a Palermo, il 15 luglio 1820, scoppiò una sommossa con richieste di indipendenza di Palermo dalla capitale Napoli. Per altri due giorni la protesta seguì rabbiosa, tra scontri, saccheggiamenti, distruzione di uffici pubblici ed anche di una statua del Re.  Migliaia di fucili furono portati via dagli insorti dal Castello a Mare di Palermo. Vennero sfondate le porte della galera e furono molti quelli che si unirono ai rivoltosi.

Il viceré, Diego Naselli, oppose una forte resistenza, ma il popolo ebbe la meglio e il Naselli decise di rifugiarsi a Napoli.

A Palermo fu costituita una Giunta Provvisoria di Governo che inviò dal Re, a Napoli, una delegazione con l’incarico di rappresentare l’esigenza dei Siciliani di avere una propria Costituzione.

Il Re non ricevette la delegazione e dispose che tutti i delegati fossero arrestati e confinati a Posillipo.

Delle truppe, con a capo Florestano Pepe, furono inviate in Sicilia per sedare nel sangue la rivolta. Il capo della Giunta Provvisoria di Governo decise di trattare la resa di Palermo, ma il popolo reagì a questo atto di sottomissione. La Giunta si sciolse e la lotta, tra le truppe del Pepe e i ribelli, venne scongiurata dall’intervento del principe di Paternò.

Una soluzione morigerata che il Re non aveva previsto e che disapprovò. Decise, quindi, di sostituire il Pepi con il generale Pietro Colletta che, in perfetta sintonia con il volere reale, attuò una dura repressione.

Molti rivoluzionari vennero condannati a morte per ghigliottina. Trecento morti e quattrocento feriti fu il bilancio di quel triste Festino, datato 1820.

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