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Il pagamento e la quietanza a saldo

Il pagamento rappresenta la principale modalità estintiva del vincolo obbligatorio, o meglio della obbligazione pecuniaria...

di Dario Coglitore

Il pagamento rappresenta la principale modalità estintiva del vincolo obbligatorio, o meglio della obbligazione pecuniaria

 

 

Avv. Dario Coglitore

Spesso accade che il debitore dopo aver pagato in contanti il compenso per delle prestazioni professionali non richieda alcun tipo di documento che attesti la ricezione del denaro da parte del creditore, e quindi l’estinzione della obbligazione. Trattasi di una negligenza non priva di spiacevoli risvolti.
Si rischia, infatti, a distanza di tempo che il professionista, il quale era stato ad ogni modo soddisfatto, approfittando di tale situazione, possa rivendicare (evidentemente in mala fede) il pagamento della parcella, a sua detta, mai ricevuto, chiedendone persino gli interessi (e perché no, le spese legali!).
Per evitare tale incresciosa situazione, chi esegue un pagamento deve farsi rilasciare contestualmente all’adempimento dell’obbligazione, la c.d. “quietanza”, ovvero una dichiarazione scritta, indicante esattamente la prestazione eseguita e l’obbligazione cui si riferisce, con la quale il creditore afferma di aver ricevuto il pagamento in essa indicato ponendo così il debitore al riparo da ogni ulteriore pretesa.

In tal senso si richiama l’art. 1199 Codice Civile a norma del quale “il creditore che riceve il pagamento deve, a richiesta e a spese del debitore, rilasciare quietanza e farne annotazione sul titolo, se questo non è restituito al debitore.”
La quietanza, dunque, è in buona sostanza una confessione stragiudiziale dell’avvenuto pagamento dell’obbligazione, e come tale revocabile solo per errore o violenza, ai sensi dell’art. 2732 Codice Civile.
L’ipotesi più ricorrente nella prassi è quella della quietanza a saldo: dichiarazione con la quale il creditore afferma di non avere altro a pretendere dal debitore.
Tali sono anche le dichiarazioni sottoscritte dal lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro. Quasi sempre il prestatore di lavoro, in procinto di lasciare l’azienda per dimissioni o altri motivi, dichiara di aver ricevuto il pagamento di ogni spettanza e di non aver più nulla da pretendere.
Tuttavia è bene precisare che in questo caso particolare, la quietanza a saldo costituisce una mera manifestazione del convincimento soggettivo del lavoratore di essere stato soddisfatto in tutti i suoi diritti e pertanto si concretizza in una dichiarazione priva di ogni efficacia negoziale.

Più volte la Corte di Cassazione (fra  le tante, Sent. n. 13731/06) ha stabilito che siffatta dichiarazione può assumere il valore di rinuncia o transazione – con l’onere per il debitore di proporre impugnazione nel termine di sei mesi ex art. 2113 Codice Civile –  se il documento, sulla base della sua formulazione letterale o di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, sia interpretabile nel senso di dichiarazione consapevole – da parte del lavoratore – dei diritti in esso indicati e ai quali espressamente si intende abdicare o transigere.
Tra i tipi di quietanza rientra, infine, pure la fattura commerciale, documento fiscale la cui emissione è connessa all’esecuzione della prestazione, secondo il principio contabile di competenza.
Affinché la fattura possa rappresentare ad ogni effetto una quietanza di pagamento, si richiede che l’annotazione “pagato” – o altra equivalente – ivi apposta riveli sia l’ammontare della somma pagata, sia il titolo per il quale il pagamento è avvenuto, sempreché tale annotazione sia sottoscritta dal soggetto da cui essa proviene, potendo in tal modo rivestire l’efficacia probatoria privilegiata tipica della scrittura privata.
Ad ogni modo, se il debitore  ha dimenticato di richiedere la quietanza, ma ha effettuato il pagamento  tramite assegno bancario o bonifico, rendendolo pertanto “tracciabile”,  è possibile raccogliere qualche elemento probatorio in più che possa venir in suo soccorso.

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