La Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 15481 del 22 giugno 2017 ha stabilito che il nuovo indice della “autosufficienza economica” elaborato dalla pronuncia n. 11504/2017 in luogo del precedente criterio dato dal “medesimo tenore di vita matrimoniale” in ordine alla determinazione e quantificazione dell’assegno divorzile, si applica anche ai procedimenti di modifica delle condizioni di divorzio
Avv. Giovanni Parisi
Le decisioni giudiziali concernenti i provvedimenti economici assunti in sede di divorzio (parimenti a quelli di separazione), conservano efficacia “rebus sic stantibus”, ossia sono sempre soggetti a revisione allorquando muti la situazione patrimoniale delle parti a causa di sopravvenuti motivi. Tali nuove circostanze, oggetto di prova a carico del richiedente la modifica dell’assegno, devono assumere rilevanza tale da far ritenere non oltremodo congrua la determinazione all’epoca effettuata dal giudice. Il legislatore ha dunque predisposto uno speciale procedimento (ex art. 710 c.p.c. per la modifica delle condizioni sottese alla separazione, ovvero ex art. 9 della legge n. 898/1970 per quanto attiene alle vicende successive al divorzio), volto ad ottenere una revisione di tali statuizioni, in conseguenza di un (dimostrato) peggioramento, ovvero di un miglioramento sopravvenuto della complessiva condizione economico-reddituale delle parti rispetto al tempo della decisione.
Con la decisione in commento, la S.C., nel richiamare la ormai celebre e rivoluzionaria sentenza n. 11504/2017, ha espresso un importante principio di diritto da applicare a tutti i procedimenti in corso di causa, ivi compresi quelli aventi ad oggetto la modifica delle condizioni di divorzio. Gli Ermellini difatti hanno cassato con rinvio un decreto emesso dalla Corte d’appello di Roma che in sede di reclamo avverso il provvedimento di riduzione dell’assegno divorzile, aveva rigettato il gravame interposto dal ricorrente (ossia l’ex coniuge richiedente l’esonero dal versamento), sull’erroneo presupposto per cui nel caso di specie sussisteva ancora il diritto alla percezione dell’assegno divorzile. Tale convincimento muoveva dalla considerazione per cui tra le parti, nonostante l’intervenuto miglioramento della condizione economica riferita alla beneficiaria (la quale nel frattempo aveva iniziato a percepire una pensione), era ancora presente un certo divario reddituale, tale da non potere ovviare al tenore di vita della predetta in linea con quello goduto in costanza di matrimonio.
A parere della S.C., il ragionamento seguito dalla Corte d’appello non può essere condiviso alla luce della richiamata pronuncia n. 11504/2017 la quale, superando il consolidato orientamento tendente ad ancorare il diritto a percepire l’assegno divorzile al riequilibrio delle condizioni reddituali riferite al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ha inteso indicizzare il suddetto diritto ad un criterio di mera autosufficienza economica attualizzata al momento della domanda, in nome del principio di “autoresponsabilità economica post-coniugale”.
Pertanto, il giudice invocato a decidere sulla domanda di assegno, dovrà verificare la ricorrenza di due condizioni interdipendenti: la prima, concernente l’an debeatur, volto al riconoscimento del diritto all’assegno divorzile nel presupposto che il richiedente sia privo di mezzi adeguati, o comunque sia impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive, parametrato non più al medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma con esclusivo riferimento alla “indipendenza o autosufficienza economica”, desunta dagli indici forniti dalla stessa S.C. (redditi da lavoro e/o similari, capacità concrete di lavoro, cespiti patrimoniali, disponibilità della casa di abitazione); la seconda, conseguente alla prima, avente ad oggetto il quantum debeatur, ossia l’indagine sulla quantificazione dell’assegno sulla scorta degli indici forniti dal legislatore del 1987 (“condizioni dei coniugi”, “ragioni della decisione”, “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”, “reddito di entrambi”, valutati anche in rapporto alla “durata del matrimonio”).
Conseguentemente, afferma il S.C., il giudice della modifica delle condizioni di divorzio, ove la richiesta incida sul diritto stesso a percepire l’assegno post-coniugale, dovrà verificare, “conformemente ai principi di diritto enunciati con la sentenza n. 11504 del 2017, se i sopravvenuti motivi dedotti giustifichino effettivamente, o no, la negazione del diritto all’assegno a causa della sopraggiunta indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge beneficiario, desunta dagli indici individuati con la stessa sentenza n. 11504 del 2017; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dall’ex coniuge obbligato, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’ex coniuge beneficiario.”