Il codice di procedura civile sancisce diversi profili di inammissibilità del ricorso nel grado di cassazione che, proprio in virtù della sua natura impugnatoria “di legittimità” a critica vincolata, soggiace a regole stringenti il cui mancato ossequio ne comporta inevitabilmente la declaratoria di inammissibilità.
L’art. 360 bis c.p.c.
Oltre che per la mancanza dei motivi dettati dall’art. 360 c.p.c., e per il difetto dei requisiti di contenuto-forma, di cui all’art. 366 c.p.c., difatti, ai sensi di cui all’art. 360-bis c.p.c., il ricorso è inammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; 2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo.
Al riguardo, la sentenza n. 7155, Cass. Civ., Sez. Unite del 21/03/2017, ha avuto modo di interpretare la norma suddetta, elaborando la ratio ad essa sottesa: “in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348 bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi inconsistenti”.
Sulla scorta del suddetto orientamento, dunque, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di formulare il seguente principio di diritto: “in tema di ricorso per cassazione, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della Corte di legittimità cui si sia conformata la pronuncia gravata ed in mancanza, nel ricorso, di valide critiche al quale il ricorso stesso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1”.
Con riferimento poi al secondo profilo di inammissibilità sancito dalla norma in oggetto (art. 360-bis n. 2 c.p.c.), uniforme dottrina ha attentamente ricondotto la violazione dei principi regolatori del giusto processo alle direttive previste dall’art. 111 Cost., non intendendosi per converso ogni violazione procedurale collegata all’error in procedendo di cui all’art. 360, n. 4 c.p.c.
L’obbligo di specificità dei motivi – art. 366, n. 4 c.p.c.
Un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso per cassazione emerge per la violazione del criterio di specificità dei motivi, ai sensi di cui all’art. 366, n. 4 c.p.c. In virtù di tale principio, nel ricorso in cassazione dovrà pertanto essere specificato il fatto in relazione al quale la motivazione si assume illegittima, contraddittoria o carente; il ricorso, in altri termini, dovrà possedere i caratteri della tassatività e della specificità, così da rappresentare le ragioni per le quali si richiede che una sentenza venga cassata a pena della declaratoria di inammissibilità, con il conseguente esaurimento delle impugnazioni.
Il rispetto del principio di specificità è, in definitiva, condicio sine qua non per l’ammissibilità del ricorso per cassazione non potendosi, quest’ultimo, limitare ad una pedissequa reiterazione dei motivi dedotti in appello e già rigettati. Pertanto, ove col ricorso per Cassazione si denunci la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, processuali o sostanziali, il principio di specificità dei motivi ex art. 366, comma I, n. 4 c.p.c. dovrà essere letto in correlazione con il disposto ex art. 360-bis n. 1 c.p.c. Da ciò consegue che sarà tacciato di inammissibilità per difetto di specificità il ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, non operi un raffronto tra la ratio della sentenza impugnata e la giurisprudenza della Corte e, laddove vi sia conformità tra esse, non sia supportato da argomentazioni intellegibili idonee ad indirizzare la Corte verso un nuovo orientamento.
Nel giudizio di legittimità è infatti richiesto, da un lato la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo, tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c. è proposto, dall’altro si esige la illustrazione del singolo motivo, contenente la esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato in rubrica, giustifichino la cassazione della sentenza (per tutte, cfr. Cass. Civ., n. 14578/2018; Cass. Civ., n. 5001/2018; Cass. Civ., SS.UU., n. 7155/2017). Giova al riguardo ulteriormente precisare come sia onere del ricorrente la formulazione corretta del motivo di cassazione, secondo una specificità dei motivi che tenga conto: 1) della descrizione di tutte le norme di diritto che si assumono violate e dell’esame del contenuto precettivo delle stesse, in coerenza con il significato ad esse riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità; 2) della individuazione di tutte le rationes decidendi e del raffronto tra la regola giuridica applicata dal giudice di merito e la giurisprudenza di legittimità; 3) degli argomenti per contrastare l’indirizzo consolidato, ove la sentenza gravata sia conforme all’indirizzo giurisprudenziale della S.C. In mancanza, il motivo sarà “non specifico, inidoneo al raggiungimento dello scopo e, dunque, inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c.” (Cass. Civ., n. 5001/2018).
L’autosufficienza del ricorso per cassazione
Secondo la elaborazione giurisprudenziale consolidatasi in materia, inoltre, sussiste una inammissibilità del ricorso di cui all’art. 360 c.p.c., di carattere processuale, qualora esso non contenga in sé tutti gli elementi utili e necessari per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata, in virtù del principio dell’autosufficienza, il cui rispetto impone, dunque, che in ricorso vengano indicate esattamente sia le parti del ricorso introduttivo con le quali la questione controversa sia stata dedotta in giudizio, sia quelle del ricorso in appello con l’indicazione dei documenti posti a corredo, senza la necessità per la Corte di rinviare a fonti esterne. Il richiamo a documenti e/o prove, infatti, deve essere preciso e specifico relativamente al contenuto degli stessi e alle modalità e luogo di produzione e formazione nel giudizio, sicché attraverso il ricorso, la Corte abbia una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti (al riguardo, cfr. per tutte, Cass. Civ., n. 1562/2019).
In questa direzione, è stato precisato dalla S.C. che la deduzione di un error in iudicando, non soltanto impone al ricorrente l’indicazione delle norme di legge ritenute violate, ma anche la specifica indicazione delle affermazioni contenute nella sentenza che si pongano in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 8316/2016; Cass. Civ., n. 5922/2016), e ciò in quanto “nel ricorso per cassazione, ai fini del rispetto dei requisiti di specificità ed autosufficienza, la parte, a pena di inammissibilità, ha l’onere di proporre chiaramente le proprie censure nei confronti della sentenza impugnata e di indicare specificatamente gli atti e i documenti delle pregresse fasi di merito da cui risulterebbe l’errore denunciato, nonché la loro collocazione nel fascicolo del giudizio a quo” (Cass. Civ., n. 10112/2018. Conformemente, cfr. Cass. Civ., n. 8245/2018; Cass. Civ., n. 5478/2018; Cass. Civ., n. 2894/2018; Cass. Civ., n. 31082/2017).
Avv. Giovanni Parisi