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Ritorna a casa la Testa di Ade

La testa di Ade torna a casa. Dall’America, all’Italia alla Sicilia Il lungo viaggio terreno del Dio dell’oltretomba...

di Redazione

Dall’America, all’Italia alla Sicilia: il lungo viaggio terreno del Dio dell’oltretomba

 

di Daniela Giangravè 

Da poco si è chiusa al pubblico l’esposizione al Museo Salinas di Palermo di una strepitosa testa di terracotta risalente all’età ellenistica. Stiamo parlando della celebre Testa di Ade, straordinaria opera di coroplastica greca dal valore artistico inestimabile. La mostra è stata fortemente voluta dall’Assessore Regionale ai Beni Culturali Avv. Carlo Vermiglio e nel frattempo si attende la conclusione del processo giudiziario e la definitiva assegnazione alla Regione Siciliana. L’evento è stato realizzato grazie all’autorizzazione del Sostituto Procuratore di Enna Dott. Francesco Rio che ne ha disposto la momentanea custodia giudiziale al Direttore del Museo Salinas, la Dott.ssa Francesca Spatafora.
L’atmosfera e l’allestimento caldi e accoglienti curati dall’Architetto Stefano Biondo, hanno avuto l’intento di ricreare all’interno della piccola sala tutti quegli elementi cromatici e simbolici che hanno caratterizzato l’iconografia connessa al culto del dio degli Inferi. L’accesso alla mostra avveniva attraverso un piccolo corridoio arricchito da immagini e cartelli esplicativi. L’ambiente che seguiva subito dopo, scuro e avvolgente circondava gli ospiti. La testa del dio posta all’interno di una teca di vetro illuminata, la cui luce ha avuto lo scopo di mettere in risalto i chiaroscuri del viso incorniciato dai ricci, forse ha sacrificato un po’ proprio quei colori per cui l’opera è famosa: il rosso dei capelli e il blu della barba; elementi questi – di cui parleremo meglio più avanti – che sono evocazione del cielo e, quindi, diventano metafora dell’eternità. Inoltre, nel buio della piccola stanza è stato proiettato anche un video ispirato al ratto di Proserpina realizzato da Diego Emanuele con i danzatori del Teatro Massimo di Palermo.

La celebre scultura ellenistica ha avuto una storia alquanto ingarbugliata ma fortunatamente dal lieto fine.

Come ha affermato lo stesso Assessore Vermiglio: “l’opera d’arte rappresenta un momento positivo e importante per la ricerca archeologica e soprattutto una vittoria per la legalità”. La parola chiave è appunto “legalità”. Perché?
La scultura finalmente è rientrata in Italia lo scorso gennaio dopo molteplici vicissitudini. Più specificatamente ha fatto ritorno nella nostra Sicilia, ricongiungendosi definitivamente ad altri capolavori sottratti. Anch’essa, infatti, trafugata alla fine degli anni Settanta, durante scavi clandestini attorno al santuario extraurbano di San Francesco Bisconti (complesso dedicato a Demetra e alle divinità ctonie Persefone e Ade) nel territorio di Aidone a Morgantina, nel cuore di Enna. Una gallina dalle uova d’oro per i tombaroli!

Testa di Ade
Testa di Ade

Nel 1985 si è ritrovata oltreoceano, venduta al J.Paul Getty Museum di Malibù per 530mila dollari, da Maurice Templesmann, magnate e collezionista newyorkese che l’aveva acquistata, a sua volta, da Robert Symes, noto commerciante di opere d’arte già coinvolto nella vicenda degli acquisti della dea Venere di Morgantina e degli acroliti.
Il 10 gennaio 2013 il J. Paul Getty Museum ha annunciato suo malgrado, in un comunicato stampa al Los Angeles Times, la restituzione alla Sicilia di una testa di terracotta di età ellenistica raffigurante una figura divina virile dalla barba ricciuta, ovvero il dio Ade.
La restituzione non è avvenuta in modo lineare e volontario, per così dire, e il travagliato epilogo si è avuto dopo accurate indagini nate dalla collaborazione tra il museo americano e l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali siciliano.
La testa si trovava nel museo californiano ben dal 1985. Purtroppo il sito archeologico di Aidone è stato spesso vittima del traffico illecito di reperti archeologici e già in passato menzionato nella cronaca internazionale per le vicende legate al trafugamento e alla restituzione all’Italia da parte del Getty di altre meraviglie come la già menzionata colossale statua di Venere, nel 2011, e l’atleta di Fano.
Grazie a pubblicazioni scientifiche e svariati indizi recuperati recentemente, è stato possibile attribuire al museo ennese il reperto a Morgantina e avanzarne richiesta formale di restituzione al Getty Museum. La consegna è avvenuta alla presenza del Console Generale d’Italia a Los Angeles, Antonio Verde, e alla presenza delle Autorità giudiziarie e di polizia italiane. In Italia ha fatto ufficialmente rientro il 29 gennaio 2016 per essere poi restituito alla sua terra di origine, la Sicilia.
Il Sostituto Procuratore della Repubblica Francesco Rio, nel 2014, attraverso una rogatoria internazionale ha posto le basi per la restituzione, esprimendo il suo apprezzamento per l’immediata disponibilità offerta dal museo californiano e per l’accurato lavoro svolto sia dal Museo Archeologico di sia dal Nucleo di Palermo dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, diretto dal Maggiore Luigi Mancuso.

Il Console Generale ha tenuto a precisare: “Dobbiamo soprattutto all’impegno e alla competenza degli archeologi italiani se da un ricciolo di ceramica blu ritrovato tra i resti degli scavi di frodo a San Francesco Bisconti si è potuta accertare la provenienza della testa dello stesso caratteristico colore custodita al Getty”. Il ricciolo blu è stato proprio la chiave di volta della faccenda ed è doveroso riconoscere il merito in particolare a due archeologhe siciliane: Serena Raffiotta e Lucia Ferruzza. Le due studiose, alla stregua di due investigatrici, hanno confrontato un frammento di riccioli blu custodito nel museo di Aidone con quelli della testa esposta al Getty rendendosi conto con stupore che i due reperti combaciavano alla perfezione. A questo punto, il museo di Los Angeles, nel 2013, non ha avuto altra scelta che restituire il dio in terracotta.

L’oggetto è raro e pregiato e le caratteristiche tracce di policromia tipiche dell’epoca ellenistica, come il rosso mattone dei capelli e il blu della barba, per cui gli è stato attribuito il soprannome di Barbablù, lo rendono unico nel suo genere.

Una piccola descrizione un po’ più dettagliata è quasi d’obbligo. La testa è modellata a mano e si presenta cava al suo interno. È fratturata alla base del collo il che fa dedurre che possa essere appartenuta con molta probabilità a un busto o ad una statua. Conservata per lo più intatta, le sue dimensioni sono pari al vero.  Le labbra socchiuse superiormente sono segnate da una fine striscia d’argilla in leggero rilievo, i baffi sono resi dall’incisione di brevi solchi obliqui. Due incavi molto profondi raffigurano gli occhi, in cui probabilmente un tempo dovevano prendere posto le ciglia realizzate in metallo così come era solito nella scultura greca, e adesso rendono penetrante lo sguardo. Una sottile incisione circolare, ben più evidente nell’occhio destro, segna il contorno delle pupille. La peculiarità è la folta capigliatura e la fitta barba. I riccioli applicati alla testa prima della cottura, sono stati modellati uno per uno a mano e rifiniti a stecca. Successivamente l’abilissimo artigiano avrebbe rivestito di un doppio strato di composizione argillosa l’intero manufatto preparandolo così al prezioso rivestimento policromo che, applicato una volta completata la cottura, ancora oggi straordinariamente si mantiene vivido su viso, barba e capelli.
Quando la testa trovò posto alla Getty Villa di Malibù inizialmente fu etichettata come “Head of a God, probably Zeus,” (Testa di un dio, probabilmente Zeus), di autore ignoto e datata al 325 a.C. circa. Per la provenienza, al tempo fu indicato genericamente “Greek, South Italy.”(Grecia, Sud Italia).  Fino a poco tempo fa, infatti, si sosteneva che la figura maschile fosse Zeus, re degli dei, proprio perché nei poemi omerici aveva spesso l’epiteto di “blu-barbato”.Getty Villa di Malibù
Dal 1985, data dell’acquisizione, fino al 2010, il prezioso reperto è stato ammirato da migliaia di persone e nel 2008 proprio per la peculiarità della sua policromia è stato scelto tra migliaia di reperti della collezione del museo per prender parte a un’importante mostra intitolata “The Color of Life”,(Il colore della vita), organizzata alla Getty Villa per evidenziare, il fondamentale ruolo, talvolta dimenticato, talvolta mai conosciuto, del colore nella scultura nel corso di quattro millenni, dall’antichità ai giorni nostri.
Sembrerebbe che in quell’occasione i conservatori del Getty abbiano condotto, attraverso un microscopio a luce polarizzata, particolari analisi sulle vistose tracce di policromia del reperto, identificando come ematite naturale il pigmento bruno-rossastro dei capelli e come blu egiziano la colorazione sulla barba. La presenza di blu egiziano, trattandosi di un colore alquanto raro ha confermato l’ipotesi secondo cui si trattasse della raffigurazione di una figura divina, giacché “The unnatural coloring of the hair and beard contributes to the impression of a supernatural figure.” (Il colore innaturale dei capelli e della barba contribuiscono all’impressione della figura sovrannaturale).

Mentre Ade attende l’autunno per ricongiungersi alla sua amata Persefone, nel frattempo noi, oltre a goderci l’inizio di questa estate ci godiamo il merito di avere riportato nel legittimo luogo ciò che ci appartiene di diritto, secondo il principio di giustizia e legalità, con l’obiettivo precipuo di preservare e valorizzare sempre di più il valore della nostra storia e il valore dell’arte di cui si fa portavoce.

 

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