Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Salvatore Ligresti: dalla Sicilia alla Milano da bere

di Daniela Mainenti

Un anno fa, la famiglia Ligresti dava il via libera all’aumento di capitale di Premafin. La scelta difficile: accettare condizioni svantaggiose o veder fallire il gruppo

 

L’aumento di capitale di Premafin era  uno degli ultimi passi per rendere possibile la fusione tra il gruppo assicurativo Unipol (che appartiene alle Coop) e l’impero familiare dei Ligresti (le assicurazioni Fonsai e Milano e la holding che le controlla, Premafin). La scelta per la famiglia era tra due alternative difficili: accettare condizioni svantaggiose o veder fallire il gruppo.

“Non dormo da tre giorni”, raccontò Giulia Ligresti. Le agenzie la descrissero, in quella circostanza, insieme alla sorella Jonella, con occhi rossi e gonfi di stanchezza e di pianto. Se avrà successo, questa la speranza, l’operazione salverà dai debiti le società di famiglia. La nuova società, nella quale però i Ligresti avevevano una quota molto ridotta, sarebbe diventata il leader in Italia nel campo dei sinistri assicurativi. La fine della vicenda Unipol-Fonsai arriva però dopo quasi un anno di vicende intricate che hanno coinvolto tutta la finanza italiana.

 

Chi sono i Ligresti
Alcuni li chiamano i Ligrestos, pensando ai Sopranos, la famiglia di mafiosi siculo americani dell’omonima serie televisiva. I Ligresti non sono mai stati condannati per mafia, ma sono siciliani e sono una famiglia patriarcale, come i Soprano. Del capofamiglia, Salvatore Ligresti, il giornalista Filippo Astone, nel suo libro Gli affari di famiglia scrive: “La collaborazione [in famiglia] è una delle più strette che si possano immaginare: in pratica decide tutto lui”. Salvatore Ligresti, 80 anni, è nato a Paternò, concittadino quindi di Antonino La Russa, padre dell’ex ministro Ignazio. Ligresti e La Russa sono due famiglie alleate. Antonino introdusse Salvatore ai personaggi importanti della Milano anni Settanta, tra cui Enrico Cuccia. Salvatore ricambiò dandogli un posto nel Cda della sua holding, Premafin. L’alleanza e lo scambio di poltrone in Cda dura ancora oggi, ai tempi di Romano, Ignazio e di suo figlio Geronimo.

«Secondo una leggenda che non vuole morire, il padre era un povero artigiano di Paternò che trovandosi in casa due ragazzini intelligenti aveva deciso di farli studiare. Uno da ingegnere e uno da medico. Nella realtà il padre Ligresti desiderava che il figlio Salvatore diventasse ingegnere e il figlio Antonino diventasse medico, ma poteva permetterselo, perché non era un artigiano povero, ma un commerciante benestante. Sempre secondo la leggenda Salvatore Ligresti si sarebbe attrezzato alla vita nei rigori delle mense delle case dello studente. Nella realtà Ligresti frequentò il biennio di Ingegneria a Palermo, poi decise di laurearsi in un’università a nord di Napoli. Scartò Milano, scartò Torino, scelse Padova per la cordialità di una camerierina di una tavola calda. A Milano arrivò laureato, non per raggiungere, come vuole la leggenda, il clan dei siciliani, ma per prestare servizio militare. Invece di tirare a campare, di aspettare l’ora di libera uscita, di trafficare per le licenze, il sottotenente Ligresti Salvatore nella caserma dell’Aeronautica di piazza Novelli approfittò per sperimentare in pratica alcune cose che aveva imparato all’università, lavorò con passione all’ampliamento dell’Aeroporto Forlanini, si interessò al demanio. Nella terra in cui si è avvocati e ingegneri o cavalieri per antonomasia o metonimia, Ligresti non era ingegnere per antonomasia o metonimia, ma per vocazione e formazione. Di lui si sarebbe detto che non si muoveva mai senza il tecnigrafo e il tiralinee, si sarebbe detto che non sapeva impedirsi di dare una sua impronta personale a progetti che aveva peraltro affidato ai migliori architetti sulla piazza, di lui si sarebbe detto che non riusciva a trattenersi dal visitare di soppiatto il cantiere in cui stava nascendo un suo progetto, nemmeno la mattina della domenica, nemmeno la mattina di Pasqua»

Si sposa nel 1966 con Antonietta Susini detta Bambi, figlia del provveditore alle Opere pubbliche della Lombardia Alfio, rapita a Milano il 5 febbraio 1981 e liberata dopo poco più di un mese dietro il pagamento di un riscatto, pare, di 600 milioni di lire. Tre figli: Giulia Maria, Gioacchino Paolo, Jonella.. Con gli appalti e il boom edilizio sotto le giunte socialiste della Milano da bere comincia le sue fortune. La sua ascesa è rapida e piuttosto misteriosa come quella di altro più illustre e noto a tutti noi esempio dell’epoca. Nel 1978 Salvatore Ligresti dichiara 30 milioni di lire di imponibile. Qualche anno dopo è uno degli uomini più ricchi di Italia. Con l’acquisto di una quota nell’assicurazione Sai arriva anche a sedere nel cosiddetto “Salotto Buono” di Mediobanca. Una specie di investitura: lo sconosciuto di Paternò divenne così uno dei grandi del capitalismo italiano.

 

Il Salotto Buono


Il Salotto Buono non è un’espressione metaforica come “poteri forti”. Indica un luogo fisico: via Filodrammatici (ora piazzetta Cuccia) a Milano. Là si riunisce il Consiglio di amministrazione di Mediobanca. Unica banca fino agli anni Novanta autorizzata a concedere prestiti a lungo termine, Mediobanca era il “passaggio a livello” da cui si doveva passare per diventare una grande impresa. Per farlo era necessario appartenere al ‘giro’ dei due dioscuri della banca: Giovanni Agnelli ed Enrico Cuccia. Non è chiaro cosa spinse Enrico Cuccia a legarsi a Salvatore Ligresti. Forse furono le comuni origini siciliane, forse furono le partecipazioni azionarie di Sai, che interessavano a Mediobanca o forse, come sostengono alcuni, la protezione che Ligresti poteva offrire a Cuccia grazie alle sue conoscenze. Il rapporto Ligresti-Mediobanca si dimostrerà saldo almeno fino ai giorni nostri.

 

Scatole cinesi, patti di sindacato e azioni di risparmio
Salvatore Ligresti ha un soprannome: Mister 5 per cento. Perché è uno dei più bravi nel metodo preferito dal Salotto Buono: controllare aziende e società possedendo soltanto una piccola percentuale dell’azionariato. Questo metodo ha a che fare con i tre strumenti principali del Salotto Buono: le scatole cinesi, i patti di sindacato e le azioni di risparmio. Il funzionamento delle scatole cinesi è semplice: se possiedo il 51 per cento della società A che a sua volta possiede il 51 per cento della società B che a sua volta possiede il 51 per cento della società C, posso controllare C possedendo soltanto una minuscola parte delle azioni di C. Grazie ai patti di sindacato posso evitare anche di controllare il 51 per cento di A.

Un patto di sindacato è un accordo tra alcuni azionisti di un impresa. Con questo accordo si impegnano a deliberare di comune accordo sugli aspetti della vita della società. Si tratta, in sostanza, di alleanze scritte che permettono di controllare una società a degli azionisti che solo mettendosi insieme riescono ad avere la maggioranza (assoluta o relativa) della azioni della società. Quindi se io posseggo solo il 26 per cento delle azioni di A e ho sottoscritto un patto di sindacato con un altro socio che ne possiede il 25 per cento, posso controllare A, B e C possedendo un numero ancora inferiore di azioni. Questo numero si può abbassare ancora se la società ha emesso azioni di risparmio. Si tratta di azioni che danno dei privilegi nella raccolta dei dividendi. In altre parole: a parità di numero di azioni, chi possiede azioni di risparmio riceve un numero più alto di dividendi. In cambio rinuncia al diritto di voto in assemblea. Tutti questi strumenti sono ampiamente utilizzati nella galassia dei Ligresti.

 

Stock option e ottimi stipendi
Nel 2002 Mediobanca aiuta la famiglia Ligresti a uscire dalla brutta situazione nella quale era arrivata dopo la condanna del patriarca a 2 anni e 4 mesi di reclusione nel 1992, durante Tangentopoli. A Enrico Cuccia è succeduto Vincenzo Maranghi, che per Salvatore Ligresti non ha la stessa stima. Maranghi cede Fondiaria, un’importante società di assicurazioni in mano a Mediobanca, a Salvatore. Dalla fusione con Sai nasce Fondiaria-Sai: il primo polo assicurativo per l’Rc Auto. I Ligresti vedono raddoppiare il loro giro di affari. Maranghi però avverte Salvatore: gestisci l’azienda con rigore e non cedere alle logiche familiari. Un consiglio che Salvatore non segue. Dopo poco tempo l’amministratore delegato Enrico Bondi (che qualche anno dopo risanerà Parmalat) viene cacciato e i figli di Salvatore vengono sistemati nei consigli di amministrazione di tutte le società e le loro controllate. Le aziende non vanno bene. Il titolo della principale società crolla in borsa. Nel 2007 un’azione di Fondiaria-Sai valeva 22 euro, poi pochissimo. Complice la crisi finanziaria, gli utili diventano sempre più sottili. Per di più la complicata rete di scatole cinesi fa sì che ben pochi di quei soldi arrivino alla famiglia. La holding di famiglia Premafin stacca dividendi alla famiglia per 2,8 milioni. Ma le partecipazioni nell’azienda valgono circa 300 milioni. Il capitale quindi, viene remunerato a meno dell’1 per cento. Troppo poco.

Le stock option e gli stipendi che i familiari ricevono come consiglieri di amministrazione sono di tutt’altro livello, però. Scrive Riccardo Sabbatini sul Sole 24 Ore che nel 2008 Jonella Ligresti, presidente del Cda di Fondiaria-Sai, incassò 4,4 milioni di euro di stipendio. Giovanni Perissinotto, amministratore delegato di Generali, un’assicurazione diverse volte più grande di Fondiaria-Sai, ne guadagnò 2,4 e il presidente di Axa (una delle assicurazioni più grandi del mondo), Henry de Castries, nello stesso anno ne incassò 3,3.

Poi ci sono le stock option, un premio molto usato per incentivare i manager a ottenere buoni risultati. Promettendo a un manager la consegna di un certo numero di azioni dopo un certo tempo, il proprietario di un’azienda lo incentiva a lavorare bene, facendo in modo che il valore delle azioni salga e così il suo premio. Nel 2007 i tre giovani Ligresti sono al terzo posto in Italia per numero di stock option che ricevono, dopo Sergio Marchionne e Alessandro Profumo. Ma i tre Ligresti sono proprietari di azioni: Marchionne e Profumo no. Jonella, Paolo e Giulia dovrebbero essere incentivati dai dividendi a fare un buon lavoro. Come scrive Astone: “i generosi compensi e i maxipiani di stock option servono a integrare i magri dividendi generati dalle scatole cinesi con le quali [Ligresti] gestisce il suo gruppo”.

 

La fine dell’impero
Crisi finanziaria, stock option, ottimi stipendi e finanziamenti da Fondiaria-Sai verso altre società hanno ridotto il gruppo al dissesto. L’unica speranza per non arrivare al fallimento è fondersi con un altro gruppo. È molto probabile, ritengono molti analisti, che in un altro paese il gruppo a questo punto sarebbe già fallito, ma evitare la bancarotta non interessa solo ai Ligresti. Mediobanca nel corso degli ultimi dieci anni ha concesso un miliardo e cinquanta milioni di crediti nei confronti delle aziende dei Ligresti. Sono crediti subordinati, che significa che se il gruppo dovesse fallire saranno rimborsati per ultimi (e quindi probabilmente non saranno rimborsati affatto). Come nel 2002, piazzetta Cuccia è di nuovo al fianco dei Ligresti, ma a differenza di allora fa il massimo che la famiglia può sperare: cioè essere salvata dal fallimento. La loro holding, Premafin, avrà nel portafoglio soltanto lo 0,85 per cento del nuovo soggetto. Per far sì che la fusione avvenga dovranno rinunciare alla manleva, cioè quell’accordo con il quale Unipol si impegna a non appoggiare azioni di responsabilità nei confronti della famiglia per il dissesto della società. A quest’ultima condizione potrebbero non essere costretti a cedere. Anche nei riguardi di altri proponenti, Sator e Palladio, la condizione è che essi rinuncino ad appoggiare azioni di responsabilità contro gli ex-amminstratori del gruppo Fondiaria-Sai. Cioè gli stessi Ligresti. Come si diceva Piazzetta Cuccia, nel corso degli ultimi dieci anni ha concesso un miliardo e cinquanta milioni di crediti nei confronti delle aziende dei Ligresti . In una situazione ormai finanziariamente insostenibile, Mediobanca è stata costretta a chiedere, con la dovuta decisione, un passo indietro a Ligresti e alla sua famiglia, non senza sollevare più di qualche obiezione. L’obiettivo è di assicurare un futuro industriale a Fonsai e anche quello di limitare i danni per tutti i creditori, a partire proprio da Piazzetta Cuccia , e per la stessa famiglia Ligresti. Un passaggio di mano che porterà all’iscrizione nel registro degli indagati dell’ad di Piazzetta Cuccia Alberto Nagel per ostacolo agli organi di vigilanza per il presunto patto occulto. Un altro episodio che complica rapporti sempre più delicati, mentre le procure di Milano e Torino indagano, le autorità di controllo a vigilare accendono i riflettori sulle complesse vicende finanziarie e l’impero scricchiola.

In carcere quindi  le figlie di Ligresti, Giulia Maria, raggiunta dagli agenti nella sua abitazione di Milano e ora nel carcere di Vercelli e Jonella Ligresti, che si trovava invece nella sua residenza estiva in Sardegna. Arrestato anche l’ex amministratore delegato Emanuele Erbetta mentre l’ordinanza di arresto a carico di Paolo Gioacchino Ligresti, non è stata eseguita perché il figlio del patron di Fondiaria si trova in Svizzera. Secondo le indiscrezioni emerse durante la conferenza stampa di Torino, avrebbe espresso l’intenzione di non rientrare in Italia. Proprio il rischio di fuga degli indagati, «per le abitudini e gli spostamenti a cui erano soliti» ha spiegato il Procuratore aggiunto Vittorio Nessi, così come il rischio di reiterazione dei reati e di inquinamento delle prove, in particolare a carico dell’ex ad Erbetta, hanno convinto il gip Silvia Salvadori a emettere le ordinanze.

Il bilancio “incriminato”, all’attenzione della magistratura, è quello del 2010, con il “buco” nella riserva dei sinistri pari a circa 600 milioni. Da qui le ipotesi di reato di falso in bilancio, con grave danno provocato, secondo gli inquirenti, ad almeno 12 mila risparmiatori, e con una perdita di valore del titolo Fondiaria per circa 300 milioni, e la manipolazione di mercato: l’occultamento di informazioni chiave, infatti, avrebbe privato gli investitori di informazioni determinanti per una corretta valutazione dei titoli azionari. Secondo gli inquirenti, la famiglia Ligresti, attraverso la holding di famiglia Premafin su cui indaga la Procura di Milano, si sarebbe assicurata un flusso costante di risorse, grazie ai dividendi, al riconoscimento di consulenze negli anni per oltre 40 milioni e grazie a una serie di operazioni immobiliari “con parti correlate”.

Oggi, forse, l’uscita di scena dopo 30 anni  bevuti nella Milano da bere .

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