Gli esclusi confinati nelle periferie – discariche sociali
Al confine interno, le periferie urbane assediano le mura delle città. Sono ormai delle no man’s land che si gonfiamo e si dilatano sotto il peso degli sconosciuti (espulsi dal lavoro e intrusi stranieri). Una popolazione, disperata e violenta, di lavoratori precari, saltuari e irregolari, di gruppi criminali che controllano il mercato della droga e della prostituzione, di immigrati emarginati che vivono di espedienti, di bande di minori che fanno sporadiche incursioni in città.
Le banlieue francesi, come le periferie italiane e inglesi, sono polveriere sul punto di esplodere al minimo pretesto. Le carceri, le mura di detenzione, sono ovunque oltre ogni limite di sostenibilità. In Italia si registra un sovraffollamento del 130% e oltre 60 suicidi solo nei primi 8 mesi del 2024.
Gli sconosciuti al lavoro, gli esclusi, aumentano. Il lavoro non c’è, e quello che c’è non è produttivo, dunque non ha alcun valore sociale. Nessun progetto industriale è sostenibile e così gli investimenti sono dirottati verso i servizi al consumo e le rendite, quindi, laddove dovesse verificarsi una crisi finanziaria, come accadde nel 2008, lo Stato sarebbe di nuovo costretto a intervenire per salvare il sistema privato e le banche, anch’esse sottomesse, trasformando il debito privato in debito pubblico.
Gli esempi italiani non mancano: Stellantis sta dismettendo progressivamente la produzione, nonostante gli ennesimi fondi pubblici (PNRR e facilitazioni per l’acquisto), e le acciaierie di Taranto sono in vendita, forse agli indiani o ai cinesi perché il gruppo privato, ArcelorMittal Italia S.p.A., è fuggito non prima di aver intascato i contributi pubblici.
La globalizzazione e la liberalizzazione dei movimenti di capitale hanno trasferito al capitale privato un potere incontrastato contro cui nessuno Stato può opporsi con politiche sociali di mediazione per sostenere i bisogni, nonostante le minacce del ministro dello Sviluppo Economico, Adolfo Urso, a Stellantis. In questo modo, tuttavia, con il costo del lavoro più basso e più insicuro, la vita è sempre più difficile e, infatti, ogni giorno, vi sono migliaia di nuovi declassati ed esclusi, fuori le mura delle città, oltre, naturalmente, alle quotidiane vittime di questo lavoro selvaggio.
Gli intrusi dai Paesi extra Occidentali da respingere
Ai confini esterni, in tutto l’Occidente, la tendenza alle deportazioni o a costruire mura di respingimento sembra inevitabile. Mura tra ISRAELE e Gaza, in BULGARIA, mura al confine con la Turchia, 235 km, in GRECIA, sempre al confine con la Turchia, 12,5 km + 27 km, mura in MACEDONIA DEL NORD, al confine con la Grecia, 37 km, mura in UNGHERIA, al confine con la Serbia e Croazia, 158 km + 131 km., in SPAGNA, al confine con il Marocco (Ceuta e Melilla) 8 km + 12 km. Contemporaneamente, l’idea è di un blocco navale su quel fossato d’acqua che è il Mediterraneo, in corrispondenza della porta sud d’Europa.
Panoramica neo-medievale
Nel settore Nord-Ovest, nel tratto di muro nei pressi di Tijuana, l’ex presidente Trump, in piedi sul palco, con l’immancabile cappello da baseball, ha urlato: “Non sono persone, sono animali” (ANSA).
Subito dopo, un gran numero di guardie armate, “Border Patrol”, vestite di uniformi nere e con occhiali a specchio, furono inviate per respingere i messicani lungo il muro d’acciaio lungo più di 30 chilometri tra San Diego e Tijuana. Ma non era un compito facile. Erano centinaia di migliaia i migranti che avanzavano lungo la strada in direzione del confine; inoltre, erano stati scavati elaborati tunnel e cunicoli sotterranei, in vari punti della barriera, da cui costoro fuoriuscivano in fila indiana per disperdersi silenziosi nel deserto.
Trump era tornato al confine tra Usa e Messico il 23 agosto 2024, per ribadire di voler continuare la costruzione del muro al confine con il Messico e fermare gli arrivi irregolari, nonostante il presidente messicano, Andrés Manuel López Obrador, avesse dichiarato che il muro non fosse una soluzione “perché non funziona”.
In alternativa ai muri, per quelli che comunque riescono a entrare, il piano B: la deportazione, sul modello inglese con il cosiddetto piano Ruanda, con tanto di zattera galleggiante entro cui rinchiudere gli immigrati irregolari in attesa di essere smistati. Ma anche questo piano di riserva non sembra funzionare. Il piano Ruanda, oltre che essere un retaggio nazista, è troppo costoso, e lo stesso vale per i campi profughi in Albania voluti dall’Italia.
Nel settore Sud, lungo la rotta centrale del Mediterraneo, la guardia costiera era schierata sul promontorio e la moltitudine di naufraghi sbarcati sulla spiaggia pensò che fosse stato inutile l’aver attraversato quel fossato allagato di Sicilia; non sarebbero mai riusciti a raggiungere quell’altura presidiata, tantomeno avrebbero potuto sottrarsi all’arresto.
Erano stanchi e affamati, la traversata era stata dura. La spiaggia di Cutro era cosparsa di stracci colorati, scarpe e legni delle imbarcazioni, mentre le onde continuavano a depositare sulla sabbia i corpi inermi di quelli che erano affogati a poche miglia dalla costa. Intanto, i superstiti, guadagnavano la riva avanzando a fatica nell’acqua, cercando di vincere la corrente di risacca, tra i pianti di bambini tenuti in braccio e lo sciabordare delle onde contro gli scogli.
Sempre nella zona sud, ma lungo la rotta orientale, i migranti, in gran parte afghani, si erano accampati al confine tra la Grecia e la Turchia e cercavano un punto dove fosse possibile entrare, mentre altri erano stati bloccati in un enorme campo profughi in Bosnia Erzegovina. Altri ancora erano in arrivo dall’Asia e dal Medio Oriente. La rotta dei Balcani occidentali era l’unica via per entrare via terra in Europa e il compito di presidiare i principali valichi di frontiera, finanziato con oltre 6 milioni di dollari, era stato affidato all’esercito turco.
Anche sulla rotta occidentale del Mediterraneo, più di 13.000 migranti, nei giorni precedenti, avevano tentato di entrare via mare o via terra, utilizzando le enclave spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla.
Nel settore Sud-Est, a Gaza Strip, il punto più critico del confine, il muro era altissimo, di cemento armato e sormontato da filo spinato; inoltre, sensori e telecamere erano ovunque, mentre potenti riflettori illuminavano a giorno l’area circostante.
A guardia di quell’enorme barriera di cemento c’erano uomini armati schierati sulle torrette di ferro che guardavano impassibili in direzione del deserto e osservavano un gruppo di giovani che si erano radunati non lontano dal check point. Dalle loro postazioni udivano echi di voci lontane e incomprensibili, urla isolate. Qualcuno lanciava pietre. Dai monitor di sicurezza della sala controllo c’era chi seguiva gli spostamenti di quegli sconosciuti che avanzavano.
Ad un tratto, si udì il gracchiare metallico di un altoparlante e, subito dopo, una voce intimò: “Fermi dove siete, rimanete a distanza dal muro o sarete colpiti. Siete sulla terra promessa al popolo eletto. Tornate indietro, tornate da dove siete venuti. Domani all’alba sono previsti nuovi raid aerei e bombardamenti nei territori della Striscia, evacuate la zona nord e dirigetevi verso Sud. È la volontà di Dio a guidarci!”.
Ma quelli, armati di pietre e di fionde, con sciarpe che coprivano il viso fin sotto gli occhi, sembravano sordi e continuavano ad avanzare in ordine sparso, a testa bassa e con la schiena curva. Nella notte, alla luce dei riflettori, si intravedevano le loro ombre distorte proiettate contro il muro di cemento.
A un tratto, si udirono raffiche di mitragliatrice, poi il bagliore di una luce bianca e accecante che illuminò le rocce e un tratto di terreno. Vi fu una forte esplosione e, subito dopo, si levarono grida e lamenti strazianti. Infine, si fece di nuovo buio e scese il silenzio. Dopo qualche minuto, inaspettatamente, si udì una voce che sollecitava gli altri a fare in fretta. Qualcuno, questa volta, era riuscito ad entrare.
Il genocidio dei palestinesi e gli Stati-Nazione blindati dai militari ONU. Un modello di difesa per il futuro prossimo
La reazione fu drammatica: una carneficina con oltre 40.000 morti in 10 mesi, la distruzione totale degli insediamenti palestinesi. Un genocidio con continue deportazioni dei civili costretti a continue evacuazioni da un punto all’altro della Striscia con l’obiettivo di sterminare i palestinesi per gruppi separati.
La soluzione finale fu che, oltre al contingente UNFIL, guidato dagli italiani che presidiavano il confine nord con il Libano, si decise un altro contingente Onu nel corridoio Filadelfia e Ue a Rafah, al confine sud con l’Egitto. Non c’era altra soluzione che barricare lo Stato di Israele e forse questa è la prospettiva di tutto l’Occidente preso d’assedio. Un Medioevo all’aria condizionata, come diceva Padre Ernesto Balducci, con mura e fossati d’acqua a protezione. Fuori, i selvaggi di turno, nella terra di nessuno.
Nella foto di copertina la Frontiera Usa-Messico (© Hans-Maximo Musielik)