Il regime del 41 bis , la restrizione delle libertà, i diritti del detenuto e il desiderio di perpetuare l’eredità mafiosa verso il futuro.
di Daniela Mainenti
Con il recente arresto di Patrizia Messina Denaro torna in primo piano il ruolo della donna all’interno dell’organizzazione mafiosa. Non solo, quindi, un ruolo di collegamento tra i familiari detenuti, di cui le donne sono portatrici di messaggi e ordini, ma anche quali elementi di raccordo tra i reggenti ancora in libertà per il mantenimento del controllo sul territorio.
Molte di queste donne hanno assunto nei confronti dei membri della cosca una posizione simbolicamente e concretamente rilevante, nient’affatto ai margini delle attività criminali della stessa. Tra queste, particolare interesse assume la figura di Mariangela Di Trapani figlia di Francesco Di Trapani, sorella di Nicola Di Trapani reggente della cosca di Resuttana e moglie di Salvino Madonia.
Il nome di quest’ultimo evoca scenari violenti e fatti sanguinosi. Condannato a due ergastoli per reati, tra cui l’assassinio di Libero Grassi, è in carcere dal 1991.
Figlio di Don Ciccio Madonia , boss di Resuttana-San Lorenzo morto in carcere nel 2007 e fratello di Antonino, spietato killer del Generale Dalla Chiesa, di Giuseppe uno degli assassini del capitano Basile e di Aldo Madonia, detto ‘Alduccio’ o ‘il dottore’ per la sua laurea in farmacia, condannato per traffico di droga.
Le donne di questa famiglia sanguinaria e spietata hanno ricoperto, ognuna a proprio modo, un ruolo importante e decisivo.
La madre Emanuela Gelardi detiene, a 84 anni, il record di anzianità tra gli inquisiti per la partecipazione a Cosa Nostra.
La compagna di Antonino, Rosanna Milia, raccoglieva i foglietti del suo uomo nei colloqui in carcere per trasmettere le comunicazioni all’esterno.
La moglie del più piccolo, la farmacista Carla Cottone, già protagonista, all’età di 28 anni , madre allora di un bambino di diciotto mesi, di una puntata del Maurizio Costanzo Show, poco prima dell’attentato al conduttore televisivo in via Fauro, dove, in maniera eclatante, si dissociava da Cosa Nostra per difendere il marito, dichiarando di non conoscerne addirittura i parenti, e poi coinvolta, proprio di recente, nell’intestazione fittizia dei beni di provenienza illecita della famiglia.
Infine proprio la nostra Maria Angela. Si sposa in carcere con Salvino, più grande di lei di diciotto anni, il 23 maggio 1992, proprio il giorno della strage in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone , la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.
Una telefonata anonima comunicò al mondo che la strage era stata il regalo di nozze a Salvino.
I reciproci padri sono primi cugini. Nel 2000 riesce ad avere un figlio, oggi tredicenne, dal marito sottoposto al regime di carcere duro.
La vicenda è tuttora circondata dal “mistero”.
Com’è stato concepito quel figlio, dal momento che a Madonia è vietato incontrare la moglie?
Si pensa ad una fecondazione artificiale effettuata in modo illegale con provetta portata all’esterno.
Successivamente desiderosa di aumentare la famiglia ottiene, insieme al marito, una sentenza favorevole della Cassazione: la n° 7791 del 20 febbraio 2008 che accolse il reclamo di Salvatore Madonia cui era stata, in precedenza, negata la possibilità di mettere il seme in provetta.
La direzione distrettuale di Palermo, nella persona del giudice Fabio Licata, quindi, autorizzava il ricorso alle tecniche di procreazione assistita. Il coronamento del suo sogno.
Il liquido seminale di Madonia prelevato nella casa circondariale de L’Aquila a spese del sistema sanitario nazionale. E senza liste d’attesa. Un primo tentativo come fecondazione semplice (1.500 euro); in caso di insuccesso un secondo con una fecondazione in vitro (3.500 euro).
In qualità di «Postina» dei messaggi inviati dal carcere dal marito, ergastolano ed in regime di 41 bis, agli uomini della cosca, ma anche in grado di condizionare le nomine dei vertici dei mandamenti mafiosi, Mariangela Di Trapani venne poi arrestata nel dicembre 2008.
Probabilmente la fine del sogno.
Seppure ridotta la pena in appello nel 2011 da dieci a nove anni, oggi la reclusa 45enne signora Madonia, che dovrebbe tornare in libertà nel prossimo 2017, a 49 anni vedrà, forse, ridursi le possibilità per l’avvio di una seconda gravidanza.
Quello di Madonia non è l’unico caso di concepimento in provetta per capomafia detenuti nel carcere duro. Pioniere della fecondazione dietro le sbarre fu nel 2002 un “uomo d’onore” catanese, il cui nome, per motivi di privacy nei confronti del bambino, non è mai stato reso noto. Fu il ministero della Giustizia ad autorizzare la fecondazione in vitro.
Resta avvolto dal mistero, invece, il caso dei boss di Brancaccio a Palermo, Filippo e Giuseppe Graviano, detenuti dal ’94, condannati per le stragi di Roma, Milano e Firenze e per l’uccisione di padre Pino Puglisi. Nel 1997 i fratelli Graviano riuscirono a far “volare la cicogna” dalla cella in cui erano rinchiusi, sottoposti al 41 bis. Le loro mogli partorirono due bimbi in una clinica di Nizza, a distanza di un mese l’una dall’altra, nonostante i mariti fossero detenuti da oltre due anni. La procura di Palermo avviò un’inchiesta in cui veniva ipotizzata una fecondazione in provetta realizzata illegalmente. Le indagini non portarono a identificare i complici dei boss.
Il 30 ottobre 2007 Raffaele Cutolo divenne papà grazie a inseminazione. La notizia era stata tenuta nascosta per nove, lunghissimi mesi. Custodita dal silenzio dell’avvocato di famiglia e degli specialisti che seguirono tutta la procedura.
La figlia è la prima e unica erede dell’ex capo della camorra, condannato a nove ergastoli, in carcere dal 1982 e sottoposto al regime del 41 bis. L’autorizzazione per la fecondazione assistita era stata concessa dal ministero della Giustizia nel 2001, dopo una battaglia legale iniziata nel 1983. “Morirò in prigione – aveva detto Cutolo in una intervista – il mio ultimo desiderio è regalare un figlio a mia moglie”.
Quali le motivazioni alla base della decisione della Cassazione?
La legge sulla procreazione assistita (la 40/04) è fatta per agevolare le coppie che non possono, per impossibilità, procreare. Se l’uomo è un ergastolano l’impossibilità c’è, perché non può avere rapporti sessuali con la moglie. La sua posizione può dunque essere equiparata a quella di chi non può avere figli.
Che la legge 40 sia fatta per agevolare la procreazione è molto discutibile, considerati gli innumerevoli divieti: tra cui il divieto d’accesso per chi non è sterile. Non basta “non poter avere figli” per accedere alle tecniche di procreazione assistita. L’articolo 4 impone, infatti, come condizione necessaria la sterilità o l’infertilità inspiegate e documentate da atto medico.
Ma Madonia non è sterile.
Madonia, inoltre, è sottoposto al 41 bis, e come ergastolano si può dire che abbia perso qualche libertà fondamentale di cui godono i cittadini. La libertà di procreare potrebbe essere inclusa in queste perdute libertà?
E ancora: spesso a sostegno delle restrizioni di accesso alla procreazione assistita viene tirato in ballo il futuro del nascituro. Per le coppie omosessuali, per i single o per la fecondazione eterologa. Si dice: è giusto vietare per il bene del nascituro.
Nel caso di Madonia sembra che nessuno abbia provato interesse al bene del nascituro. Volendo solo limitarsi all’inevitabile assenza del padre Madonia, non sarebbe stata, quantomeno, una situazione simile a quella del genitore single?
Forse, anche la detenzione della madre ha momentaneamente sospeso l’opportunità della scelta.
Ma una riflessione si impone