Processi troppo lunghi, diritto ad un equo processo entro un termine ragionevole. Diritto ad una Equa Riparazione.
di Agostino Curiale*
La Giustizia è il polo intorno al quale ruota il mondo, è la stella centrale che governa la società, il principio e la regola di tutte le transazioni, nulla avviene tra uomini che non sia in nome del diritto. Il senso di giustizia è il desiderio esclusivo della natura umana di punire i colpevoli e gli imbroglioni, dando loro la giusta pena da scontare. Ma a lasciare attoniti purtroppo c’è un’altro aspetto che offre uno spaccato desolante ed umiliante del nostro Paese, effettivamente la percezione dei cittadini italiani che, evidentemente, lungi dal sentirsi tutelati dallo Stato nel rispetto dei propri diritti fondamentali lo vedono come un soggetto dal quale difendersi, quanto quelli relativi al numero di volte in cui la Corte ha accertato che il nostro paese ha effettivamente violato i diritti dell’uomo.
In questi casi, molti cittadini italiani, sono stati costretti a rivolgersi ai Giudici di Strasburgo per ben circa2.600 volte essendo secondi solo alla Turchia per numero di processi celebrati dinnanzi alla Corte Europea. E c’è di più, il nostro Governo è stato condannato dai Giudici di Strasburgo in circa 1.200
processi che si celebrano nei nostri Tribunali, per colpa dell’eccessiva lunghezza dei processi. In Italia, secondo la Corte Europea dal 1959 ad oggi non c’è garanzia nel garantire un giusto processo, il sistema normativo e giurisdizionale Italiano è inefficace a garantire effettivamente i propri diritti, la nostra giustizia insomma, spesso si rileva incapace di tutelare i cittadini.
La Corte Europea dei diritti dell’uomo, a decorrere dal 1999 aveva constatato in numerose cause l’esistenza in Italia di una prassi contraria alla Convenzione risultante da un cumulo di trasgressioni all’esigenza del termine ragionevole. La stessa Corte allorquando successivamente ha constatato che tali trasgressioni risultavano recidive, ha ravvisato anche nel cumulo delle trasgressioni una circostanza aggravante della violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione.
Alla luce di quanto detto, in questo articolo parleremo della possibilità che ogni cittadino italiano ha per ottenere un equo risarcimento danni causato dalle lungaggini dei processi giudiziari, vedremo quali sono le procedure da intraprendere e come ottenere un giusto riconoscimento dallo Stato.
L’argomento al riguardo coinvolge un numero altissimo di cittadini. Chi è stato coinvolto in un procedimento legale per un periodo di tempo considerato irragionevole, cioè troppo lungo per intenderci, può richiedere, in base alla legge Pinto n. 89 del 24 marzo 2001 un risarcimento riconosciuto sotto forma di indennizzo. Se un processo vada oltre i tempi ragionevoli e quindi per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, può richiedere allo Stato un risarcimento del danno sia patrimoniale che non, in relazione a quanto enunciato all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione firmata a Roma il 4 novembre 1950 che indica espressamente (“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge”)
In pratica viene riconosciuta, per ogni anno di eccessiva durata del processo una somma a titolo di risarcimento che varia da un minimo di € 750,00 ad un massimo di € 1.500,00 ma può aumentare in casi di particolare importanza fino ad arrivare a € 2.000,00.
In questi casi rientrano con particolare importanza i procedimenti pensionistici, cause di lavoro o cause che incidano sulla vita e/o sulla salute, praticamente, tutti i procedimenti giudiziali che hanno per tema il diritto di famiglia.
I tempi solitamente rientranti nel periodo ragionevole sono i seguenti:
- 3 anni per il primo grado,
- 2 anni per il secondo grado e
- 1 anno per la Corte di Cassazione
Il risarcimento si può chiedere a prescindere dall’esito della controversia che sia essa già posta in decisione o in conciliazione o che sia addirittura persa. E’ chiaro che la pretesa di risarcimento può essere avanzata ad ogni grado solo se i tempi sopra descritti risultano superati. Nel caso di un primo ricorso avanzato durante la fase del processo, a fine del procedimento può naturalmente essere avanzato una seconda istanza sempre relativamente al superamento dei tempi superati.
Ebbene prestare attenzione ai tempi, il ricorso per Equa Riparazione, usando il termine giusto, deve essere presentato entro 180 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il processo, oltre questo temine non sarà più possibile procedere per avvenuta decadenza dei termini. Rimane invece sempre proponibile il ricorso in pendenze della causa. Prima di inoltrare istanza, è ovviamente indispensabile controllare la determinazione del tempo ragionevole, valutare le circostanze e considerare, ad esempio, la complessità del caso e/o il comportamento tenuto sia dal giudice che delle stesse parti.
Il Ricorso deve essere esperito presso la Corte d’Appello nella regione territorialmente competente, cui risulta residente la parte attrice ossia, proponente.
1. Deve essere proposto nei confronti del Ministero della Giustizia per i procedimenti di prime cure (primo grado).
2. Deve essere proposto nei confronti del Ministero delle Finanze per i procedimenti di competenza del giudice tributario (Commissioni tributarie)
3. Deve essere invece proposto nei confronti del Ministero della Difesa se riguarda i procedimenti del giudice miliare.
Nei ricorsi è di principale importanza descrivere in maniera chiara e dettagliata tutti i fatti occorsi, è fondamentale provare la lungaggine processuale attraverso la trascrizione pedissequa di tutti i verbali di udienza elencando un chiaro e preciso quadro dei fatti accaduti, esporre i fatti e i ritardi intercorsi descrivendo le varie date e rinvii del processo, eventuale tempo trascorso tra il deposito della prima istanza e la data effettiva della fissazione prima udienza. Sotto il profilo iniziale, invece bisogna allegare tutti gli elementi probatori da cui possa desumersi la violazione dell’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione.
Vedremo adesso quali documenti sono importanti. Per iniziare l’iter sono necessari tutti i documenti comprovanti la violazione dell’art. 6. paragrafo 1 e cioè:
- Copia della sentenza se il procedimento si è concluso
- Certificato di pendenza della lite se la causa non risulta conclusa
- Copia citazione
- Copia della comparsa di costituzione e risposta
- Copie di memorie difensive
- Copie dei verbali di udienza
- Copia della comparsa conclusiva.
In seguito, alla corretta procedura avviata, la Corte d’Appello provvederà alla fissazione dell’udienza con il deposito perentorio del provvedimento conclusivo, che a sua volta, verrà depositato presso la Cancelleria. Il giudizio espresso con Decreto, se positivo, condannerà lo Stato Italiano a corrispondere un indennizzo al ricorrente. Il difensore poi, avrà cura di notificare la decisione presso l’Avvocatura dello Stato che darà seguito all’indennizzo. E’ da premettere, che tale Decreto concluderà tutto il procedimento e per effetto assumerà carattere immediatamente esecutivo.
Ma non sempre lo Stato si affretta a pagare, e quindi, nel caso di mancato riscontro, avendo in mano un titolo esecutivo, si potrà procedere per il recupero forzoso.Se tutti i passaggi sono stati eseguiti correttamente sin dall’inizio a partire dal deposito del ricorso introduttivo fino al recupero dell’indennizzo in forma esecutiva, il procedimento può concludersi entro un anno e mezzo.
La nostra Associazione ha per obiettivo un solo principio fondamentale “ tutela e assistenza dei diritti di tutti i consumatori”.
*Presidente regionale Associazione europea consumatori indipendenti