L’annoso problema della inefficienza delle amministrazioni pubbliche, ad ogni livello territoriale, nella manutenzione delle strade – urbane ed extraurbane – in aggiunta al troppo frequente affidamento degli enti locali a società partecipate “mangiasoldi” per lo svolgimento di tale funzione conservativa, ha contribuito in maniera determinante al proliferare di sinistri in danno dei cittadini utenti delle pubbliche vie, proprio a causa del pessimo stato di esse.
Nel corso degli ultimi decenni, dunque, si è delineato a carico della P.A. una vera e propria sottospecie di responsabilità “da insidia o trabocchetto”, sussumibile nella categoria extracontrattuale di danno da cose in custodia, disciplinato dall’art. 2051 c.c.
Nella specie, l’ente locale competente territorialmente alla manutenzione ed alla pulizia stradale, è considerato dalla unanime giurisprudenza, quale custode della strada medesima, ed è pertanto soggetto alla responsabilità risarcitoria per il pregiudizio arrecato all’utenza derivante dall’utilizzo del bene pubblico (sia esso strada, autostrada, marciapiede, etc.).
La causa del danno
Dall’assoggettamento della predetta responsabilità alla fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., conseguono importanti conseguenze in ordine ai criteri di ripartizione dell’onere probatorio incombente sul danneggiato e sul danneggiante, quest’ultimo identificandosi con il soggetto detentore del dovere di vigilanza sul buono stato dei beni sottoposti al proprio controllo.
Deve al riguardo sottolinearsi come, secondo costante ed uniforme giurisprudenza, in ipotesi di illecito ex art. 2051 c.c., sul danneggiato incomba l’onere di provare esclusivamente il nesso di causalità tra l’evento dannoso e la cosa in custodia, ossia la diretta riconducibilità del danno subito dall’utenza allo stato del bene utilizzato, rimanendo invece a carico del custode, secondo i criteri della c.d. responsabilità oggettiva (ovvero, secondo diversa, meno rigorosa opinione, della c.d. culpa in vigilando), l’onere di fornire la prova liberatoria costituita dal caso fortuito, intendendosi esso un accadimento imprevedibile, inevitabile ed in ogni caso totalmente estraneo alla cosa oggetto della custodia e che, interrompendo il nesso eziologico sopra esposto, renda di per sé certo il verificarsi dell’evento dannoso.
Il caso fortuito
Ebbene, è un principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale il caso fortuito può sussistere quando il danno venga prodotto sì dalla cosa in custodia, ma in conseguenza di un fattore esterno che può essere individuato tanto in evento naturalistico, quanto nel comportamento dello stesso danneggiato.
In tal senso la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che “la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’articolo 2 Cost.. Così che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro” (Cass. Civ. Ord.18/02/2020, n. 4129; Cass., 01/02/2018, n. 2477; Cass., 01/02/2018, n. 2478).
Evento imprevedibile
Ed ancora “il caso fortuito diventa una vera e propria fictio quando consiste nella condotta del danneggiato, poiché l’imprevedibilità dell’evento dannoso che tradizionalmente viene intesa come insita nella natura fortuita della serie causale liberatoria viene a contaminarsi ed anzi a scambiarsi con la prevedibilità di tale evento dal punto di vista del soggetto danneggiato, nell’ipotesi in cui il caso fortuito consista in una condotta di quest’ultimo. Invero, una condotta incauta tenuta in uno scenario inclusivo anche di una cosa pericolosa non può non definirsi condotta da cui è oggettivamente prevedibile che derivi un evento dannoso per chi la compie.
Prevedibile o no?
Proprio la prevedibilità fonda la “restituzione” del rischio al soggetto che vi è direttamente esposto, il quale mediante una condotta incauta e quindi idonea a rendere prevedibile l’evento dannoso manifesta di non meritare più – per le sue censurabili scelte – una particolare tutela” (Cass. Civ., Sent. n. 18415/19).
Ne consegue che, una volta accertato che la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi integrato il caso fortuito.
Avv. Dario Coglitore