di Giusi Serravalle
Quel ventitrè maggio del 1992 era un sabato qualunque. Un sabato pomeriggio di primavera con profumi e colori come solo la Sicilia sa offrire.
Un compleanno ci trova tutti riuniti in casa di amici, a festeggiare. Ventiquattro anni fa eravamo giovani con figli piccoli, quasi tutti della stessa età e tra le grida gioiose della piccola padrona di casa che scartava i regali, noi “adulti”, cercavamo di organizzare il viaggio per l’estate già alle porte.
Sono quasi le 18.00 quando all’improvviso si sente un boato, quasi un sussulto della terra, che supera le grida dei nostri bambini e i rumori provenienti dalla strada, affollata di gente e di automobili, in quel sabato pomeriggio qualunque.
All’improvviso dentro l’appartamento cala il silenzio, persino i bambini senza un apparente perché, smettono di ridere e vociare. Trascorrono un paio di secondi e tutti ci proiettiamo verso i balconi attratti da qualcosa che di buono non prometteva proprio nulla. Il cielo limpido di pochi minuti prima, lascia il posto a un’immensa nuvola scura. Tutta la città smette di respirare per diversi secondi e il silenzio più assoluto sembra impossessarsi di uomini e cose.
E’ una telefonata a rompere il silenzio. Qualcosa di grave è accaduto, ma cosa e quanto grave sia ancora non si sa. Dopo un po’ i media iniziano a diffondere la notizia di un attentato a Palermo e il nome del giudice Giovanni Falcone trova via via conferma.
Da quel giorno maledetto sono trascorsi 24 anni. I nostri bimbi di allora sono giovani cresciuti con slogan come “la speranza non muore” e “le vostre idee cammineranno sulle nostre gambe!”, con i valori della legalità che ogni anno si celebra proprio in occasione dell’anniversario della morte di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.