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Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Strutture per la prima infanzia in Sicilia: vuoto a perdere

La mappa delle strutture dedicate alla prima infanzia è uguale per tutte le regioni della Penisola. Ma non c’è dubbio che, in Sicilia e, in particolare nelle principali città, il quadro sia ancora più sconfortante. Questo costringe le mamme a lasciare il lavoro dopo la maternità

di Patrizia Romano

In Italia, una mamma su quattro lascia il lavoro dopo la maternità. Secondo l’Istat, il 22 per cento delle donne lavoratrici, a distanza di due anni dal parto, non lavora più. Un dato, tra l’altro, destinato a crescere. Di questa percentuale, soltanto nel 30 per cento dei casi si tratta di una scelta volontaria. Nell’altro 70, si tratta, invece, di una costrizione legata a varie circostanze. La causa principale, comunque, è a tutti nota e comune a tutte le mamme d’Italia: carenza dei servizi pubblici dedicati alla prima infanzia. Una causa che trascina dietro di sé conseguenze che danno il colpo di grazia finale, come il rincaro delle strutture private, che diventano, così, inaccessibili.

Un quadro sconfortante

La mappa delle strutture dedicate alla prima infanzia è uguale per tutte le regioni della Penisola. Ma non c’è dubbio che, in Sicilia e, in particolare nelle principali città, il quadro sia ancora più sconfortante. Basti pensare che, in tutta la regione, la presenza degli asili nido è in grado di soddisfare meno del 5 per cento dell’utenza.

Disparità di genere

Inoltre, in tutta l’Isola, si registra una differenza di genere, e quindi di trattamento, molto più accentuata. Permangono ancora profondi retaggi culturali che considerano la gravidanza un handicap femminile.

A completare il quadro, la mancanza di flessibilità da parte dei datori di lavoro, nonché la pochezza del quadro legislativo preposto alla tutela della donna in maternità, come, per esempio la legge sui congedi parentali.

Finanziamenti europei inutilizzati

Eppure, come le altre regioni del mondo, pure la Sicilia è stata messa nelle condizioni di migliorare la situazione, attraverso i finanziamenti dell’Unione Europea. Ma per ottenere i finanziamenti europei destinati alla realizzazione di nuove strutture e all’ammodernamento di altre, l’Unione Europea chiede di adeguarsi agli standard europei, raggiungendo almeno il 30 per cento di copertura strutturale. Manco a dirlo, stando alla copertura attuale, si rischia di perdere sino all’ultimo centesimo di questi finanziamenti.

Palermo, primato delle carenze strutturali

Palermo, poi, in particolare, detiene il primato delle carenze strutturali e organiche. In pochi anni, sono stati chiusi ben 17 asili nido su appena 42 presenti e dislocati in maniera inorganica su tutto il territorio. Quelli attualmente funzionanti sono, quindi, 25 sui quasi 3.800 presenti nel resto d’Italia gestiti dai comuni. Gli altri sono stati chiusi per i più disparati motivi, che vanno dalla carenza igienico sanitaria a quella strutturale vera e propria.

Questi sono i numeri relativi all’offerta di asili della città di Palermo che, tra l’altro, va detto, risulta essere, non si sa come, la quinta città d’Italia per le scuole dell’infanzia.

Normativa poco attenta

A Palermo, la vicenda degli asili comunali mostra tutti i limiti di un sistema normativo del tutto sbagliato.
Questa rappresenta una situazione che necessita di una attenta programmazione delle risorse, per porre fine a disagi che sono inaccettabili per le famiglie e per i bambini.
Perché le strutture, anziché realizzarsi, adeguarsi e altro ancora, chiudano i battenti?

Abbandono delle politiche scolastiche

Questa situazione è il frutto di un abbandono delle politiche scolastiche di qualità e, in primo luogo, delle politiche a sostegno delle strutture destinate all’infanzia. Le istituzioni locali, attraverso il Piano Regolatore e altri strumenti in loro possesso, dovrebbero tenere conto di questa particolare necessità del sistema scolastico cittadino in maniera seria e opportuna.

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