Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Strutture precarie: quando il permesso di costruire in Sicilia

Realizzazione delle verande, così come delle pensiline e/o tettoie, è prevista una normativa speciale che, in deroga ad ogni legge nazionale, esonera dal permesso di costruire e/o da autorizzazione tutte le strutture definite “precarie” che hanno una superficie minore di 50 mq. Il nostro avvocato ci spiega come funziona in Sicilia il meccanismo delle strutture precarie e il permesso di costruire

di Dario Coglitore

La Sicilia, regione a statuto speciale, gode di autonomia legislativa e per tale ragione non sempre soggiace alla normativa statale. Pertanto, con particolare riguardo alla realizzazione delle verande, così come delle pensiline e/o tettoie, è prevista una normativa speciale che, in deroga ad ogni legge nazionale, esonera dal permesso di costruire e/o da autorizzazione tutte le strutture definite “precarie” che hanno una superficie minore di 50 mq purché venga rispettata una apposita procedura. Per tutte quelle strutture precarie con superficie superiore a 50 mq, o nel caso di interventi su aree soggette a vincolo, è necessaria invece l’acquisizione del nulla osta da parte della Soprintendenza.


Ma cosa si intende per struttura precaria ?

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa c on sentenza n. 275/2020 ha fornito importanti e fondamentali chiarimenti sull’applicazione della norma: “Sui concetti di “veranda” e di “terrazza”, e sulle nozioni – mutuabili dalle scienze architettoniche – di “tettoia”, “pensilina” “gazebo” (nonché sul sign ificato da attribuire all’espressione “struttura aperta almeno da un lato”) questo Consiglio si è già espresso nel parere n. 771 del 3 settembre 2015 ed ulteriormente, in modo più analitico e specifico (e pur sempre in linea con il precedente), nel parere n. 105 del 1° aprile 2020…
Per il resto, quanto al concetto di “precarietà” delle opere è lo stesso art. 20 l.r. n. 4/2003 che, al comma 4, precisa che «ai fini dell’applicazione dei commi 1, 2 e 3 sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione».

La lettura della norma


La testuale lettura della norma, dunque, induce a privilegiare la valutazione dei metodi e dei materiali usati nella realizzazione delle opere per poterle qualificare come precarie. In tal senso si è espresso questo Consiglio con il già menzionato parere n. 105 del 1° aprile 2020, che rappresenta il precipitato logico della ricostruzione giurisprudenziale inerente l’art. 20 della l.r. n. 4/2003, (norma speciale la cui applicazione è limitata alla tipologia degli interventi edilizi ivi previsti) in cui è affermato che «quanto, infine, alla “precarietà” delle cc.dd. “strutture di chiusura”, alla quale il Legislatore fa riferimento – ‘precarietà’ che evidentemente non può consistere, nella ratio legis, nella mancanza di idonei “meccanismi di ancoraggio” atti a garantire la stabilità di dette strutture in situazione di sicurezza – la giurisprudenza ha chiarito che essa è data dalla combinazione sistemica del materiale e del metodo applicativo utilizzati; combinazione che deve consentirne, almeno virtualmente (e dunque nella previsione progettuale), lo smontaggio (o comunque l’asportazione) senza “distruzione” dei componenti mobili e senza ricorso alla “demolizione” delle parti fisse alle quali sono ancorate».

Cos’è il concetto di precarietà

Il concetto di precarietà va, dunque, determinato privilegiando la valutazione dei metodi e dei materiali usati nella realizzazione delle opere, poiché esula dall’art. 20 della l.r. n. 4/2003 il criterio della “funzionalità” inerente la natura duratura, o no, delle esigenze che le opere sono destinate a soddisfare.
A corroborare questa tesi milita anche la considerazione del rapporto tra il concetto di precarietà, requisito indispensabile per l’operare dell’esclusione della necessità di una previa autorizzazione o concessione edilizia, e le esigenze di sicurezza.
Tale precisazione non è di poco momento se si considera che erroneamente, a volte, si è ritenuto di escludere la ricorrenza del carattere in parola in ipotesi di opere “stabilmente infisse” al suolo.


Comma 2 dell’art. 20


D’altra parte, questa interpretazione trova sostegno nel comma 2 del citato art. 20 il quale prevede che, nelle ipotesi in cui a norma della stessa disposizione non è necessario l’ottenimento della previa autorizzazione o concessione, «contestualmente all’inizio dei lavori il proprietario dell’unità immobiliare deve presentare al sindaco del comune nel quale ricade l’immobile una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi e il rispetto delle norme di sicurezza … vigenti».

Nessuna deroga prevista dalla norma

È evidente, pertanto, che la norma non introduce alcuna deroga a disposizioni diverse da quelle urbanistiche e, in particolare, a quelle in materia di sicurezza. Tra queste ultime rientrano, certamente, quelle che richiedono la denuncia al Genio civile o, nelle zone sismiche, la previa autorizzazione (in questo senso, è il parere CGARS, sez. riun., n. 241/2010 reso il 10 gennaio 2012).

Una tettoia non può essere realizzata senza autorizzazioni

Difficilmente, difatti, una tettoia che, in base al disposto dell’art. 20, può essere realizzata (in concorrenza anche gli altri presupposti prescritti) senza autorizzazioni o concessioni urbanistiche fino a un’estensione di 50 m², potrebbe essere considerata rispondente alle disposizioni in materia di sicurezza pur senza essere stabilmente ancorata al suolo. Da ciò deriva che, a pena di privare di significato la disciplina derogatoria dettata dalla norma regionale, il concetto di precarietà in essa contenuto deve essere interpretato nel senso di non escludere la sussistenza di “idonei meccanismi di ancoraggio” proprio in quanto funzionali alle esigenze di sicurezza a cui l’art. 20 non consente di derogare.


La nozione di “precarietà” ancorata al concetto di “facile rimovibilità”

Si può dunque affermare che, per le opere realizzate secondo il disposto dell’art. 20 della l.r. n. 4/2003, la nozione di “precarietà” è ancorata esclusivamente al concetto di “facile rimovibilità” (e non anche a quelli di “funzionalità occasionale”, di “destinazione urbanistica” e/o di “instabilità strutturale”, “stagionalità” o “temporaneità”), dovendo pertanto restare escluse dall’ambito di operatività della deroga introdotta dalla predetta norma speciale – pur se strumentali alla copertura di verande o balconi, alla chiusura di terrazze (di collegamento o meno, ed in tal caso non superiori a 50 m²) ed alla copertura di spazi interni (cortili, chiostrine e simili) o “aperti almeno da un lato” – le strutture in muratura o in laterizi (o comunque ancorate definitivamente mediante l’uso di leganti cementizi o derivati) e quelle non smontabili e non rimovibili se non mediante attività demolitoria a carattere distruttivo (conforme: Cgars, sez. riun., 3 settembre 2015, n. 771).

Obblighi per il proprietario dell’unità immobiliare

Ciò posto, il proprietario dell’unià immobiliare, contestualmente all’inizio dei lavori, deve limitarsi a presentare al Comune di appartenenza una relazione firmata da un professionista abilitato il quale dovrà assicurarsi che l’opera precaria sia rispettosa delle norme di sicurezza, urbanistiche e igienico-sanitarie vigenti e che l’intervento non ricada su uno dei prospetti principali; dovrà inoltre accertare che l’opera non superi il 20% della volumetria dell’immobile e non cambi la destinazione d’uso originaria delle superfici modificate.

Nel caso di veranda

Dopo i lavori, ad esempio nel caso di una veranda, bisognerà provvedere alla variazione catastale, intervenendo un aumento della cubatura; nel caso in cui faccia l’opera faccia parte di un edificio condominiale andranno ricalcolate le quote millesimali. Unitamente alla cosegna della comunicazione il proprietario deve versare un importo di Euro 100 per diritti di segreteria più una oblazione che va calcolata in Euro 25 a mq qualora la veranda sia realizzata a filo con il balcone soprastante; in tutti gli altri casi si pagheranno Euro 50 al mq.


Regolarizzazione delle opere già realizzate

Le medesime regole si applicano anche per la regolarizzazione delle opere già realizzate purché siano “precarie” e conformi alle disposizioni normative vigenti. Diverso è il caso delle attività commerciali o produttive ove, ferma restando il rispetto delle normative di sicurezza e igienico- sanitarie, i proprietari possono regolarizzare le opere solo dopo aver chiesto l’autorizzazione al Comune.





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2 risposte

  1. A suo parere quale può essere la destinazione del manufatto che sorge con la copertura della terrazza?La maggior parte degli uffici e purtroppo dei giudici interpretano nel senso che il comma 6 dell’art 20 impedisca un uso abitativo.Sono certa che il divieto di modificare la destinazione originaria della superficie variate si riferisca all’immobile unitariamente considerato.Voglio dire che la terrazza è pertinenza di un bene principale e deve seguire la stessa destinazione di esso.Dunque se la terrazza è antistante ad una abitazione,il nuovo manufatto dovrà avere destinazione abitativa

  2. Vorrei chiedere se un ” locale tecnico” che ospita sistemi di riscaldamento e climatizzazione moderni, può essere installato senza tenere conto delle distanze minime dai confini e dalle relative costruzioni. Grazie

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