Successioni testamentarie. Come è noto, la successione per causa di morte può essere legittima (o ab intestato ) o testamentaria. La prima ipotesi, disciplinata dal codice civile agli artt. 565-586, ricorre qualora il de cuius non abbia in vita redatto testamento, ovvero pur avendolo fatto, esso sia stato dichiarato invalido.
I vari casi
Un’ulteriore casistica alle Successioni testamentarie riguarda quei casi in cui il testamento (valido) non contempli tutto il patrimonio relitto. Nella suddetta categoria, è la legge che individua gli eredi e ne stabilisce le rispettive quote spettanti a seconda del grado di parentela con il defunto.
La successione è valida solo attraverso testamento
La successione è testamentaria (artt. 587-712 c.c.), viceversa, qualora presupponga e venga regolata da un testamento valido da parte del de cuius , nel quale quest’ultimo abbia in vita disposto di tutti i suoi averi per il tempo in cui avrà cessato di vivere. Nel nostro ordinamento, difatti, non è consentito designare i beneficiari di una successione ereditaria e devolvere lasciti patrimoniali a loro favore se non mediante un testamento, il quale si configura come un atto unilaterale a forma vincolata (ossia nelle forme legali di “olografo”, “pubblico” o “segreto”).
Le disposizioni testamentarie hanno titolo universale
Ebbene, in forza dell’art. 588, comma I, del codice civile, “le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario”.
Esistono importanti distinzioni
La predetta disposizione codicistica pone, dunque, una importante distinzione, tra successione a titolo universale, riservata agli eredi, e quella a titolo particolare, concernente i cd. legati. Nel primo caso, l’erede succede per intero ( ex asse ), ovvero per quota ( ex parte ) delle componenti del patrimonio ereditario ( universum ius defuncti ), mentre il legatario, diversamente, beneficia di un particolare lascito patrimoniale (di genere o di specie) che non coincide con l’asse o con la quota di esso.
Primo caso
La differenza di istituto ha implicazioni sostanziali di non poco conto: anzitutto l’istituzione di erede prevede necessariamente un atto di accettazione, espressa o tacita, da parte del chiamato, difformemente dal legato che si verifica ipso iure al momento della morte del testatore (fatta salva la facoltà di rinunziarvi a norma dell’art. 649 c.c.).
Secondo caso
In secondo luogo, l’erede, proprio in forza della universalità della delazione, succede in ogni posizione attiva e passiva del de cuius , sostituendosi a quest’ultimo, e dunque risponde iure hereditatis anche dei debiti contratti in vita dal defunto con terzi ( ultra vires ), salvo che l’accettazione della eredità venga effettuata con il beneficio di inventario.
Altra ipotesi
In tale ultima ipotesi, prevista dagli artt. 484 e segg. c.c., si evita la confusione tra il patrimonio del de cuius e quello personale dell’erede, e per l’effetto quest’ultimo, qualora abbia effettuato accettazione beneficiata nelle forme di cui all’art. 484 c.c., non risponde dei debiti ereditari se non nei limiti della quota ricevuta ( intra vires ).
In caso di erede minore
Qualora il chiamato all’eredità sia minore, interdetto o inabilitato, l’eredità deve essere accettata necessariamente con il beneficio di inventario, a norma degli artt. 471 e 472 del c.c. Con riferimento alla posizione del legatario, poi, questi, non rivestendo la qualifica di erede, non succede mai nei rapporti debitori del disponente, rimanendo viceversa vincolato esclusivamente al lascito particolare ricevuto. Fatte tali brevi precisazioni, appare opportuno puntualizzare il dato per cui non sempre la disposizione testamentaria concernente un singolo o taluni beni configuri necessariamente legato.
Erede “ex re certa
Il secondo comma dell’art. 588 c.c., invero, prescrive al riguardo che “l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio”. Si verte, in tale ultima ipotesi contemplata dalla norma, nella istituzione di erede “ex re certa”, configurandosi una successione a titolo universale con assegnazione di singoli o determinati beni come quota del patrimonio relitto, e ciò a prescindere dalle locuzioni utilizzate dal testatore nella scheda.
La nozione di quota
Al fine di comprendere meglio tale concetto, occorre dunque tenere a mente la nozione di “quota”. Per aversi eredità, difatti, il lascito, sebbene determinato, deve riguardare una frazione – anche ideale e riflessa – dell’asse ereditario. Mentre nel caso contrario si avrà una successione a titolo particolare (legato). Anche il formante giurisprudenziale, sul punto, è pressoché uniforme nello stabilire che “in tema di interpretazione del testamento, l’institutio ex re certa configura, ai sensi dell’art. 588 c.c., una successione a titolo universale nel patrimonio del de cuius qualora il testatore, nell’attribuire determinati beni, abbia fatto riferimento alla quota di legittima spettante all’istituito, avendo in tal modo inteso considerare i beni come una frazione rappresentativa dell’intero patrimonio ereditario” (Cass. Civ., n. 1066/2007).
La volontà del testatore di istituire l’erede spetta al giudice
Ovviamente, la indagine sulla reale volontà del testatore di istituire erede o meno, è riservata alla discrezionalità del giudice: “in tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 cod. civ., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (” institutio ex re certa “) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni. L’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato” (Cass. Civ., n. 24163/2013).