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Telecomunicazioni: la conciliazione al vaglio delle Sezioni Unite

Le controversie in materia di telecomunicazioni sono sempre più frequenti e numerosi sono i casi che "fanno giurisprudenza".

di Redazione

Con due sentenze ravvicinate, l’Adunanza Plenaria della Suprema Corte di Cassazione ha fatto chiarezza su due specifiche questioni, entrambe sorte su controversie in materia di telecomunicazioni, con riferimento all’obbligatorietà del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione extragiudiziale attribuito con delega di funzioni ai Comitati Regionali per le Comunicazioni (Co.Re.Com.) ai sensi di cui all’art. 1, comma III, Delibera AGCOM n. 182/02/CONS (ora art. 3, delibera n. 173/07), adottata in attuazione dell’art. 1, comma XI, Legge 31/07/1997, n. 249.
In tale ambito, quid juris allorquando il suddetto tentativo non sia stato preventivamente esperito? La domanda giudiziale diviene improcedibile ovvero soggiace alla più grave declaratoria di improponibilità? L’obbligatorietà del tentativo extragiudiziale di conciliazione dovrà essere esperito altresì nella ipotesi di domanda giudiziale formulata in via monitoria, ossia mediante il ricorso per decreto ingiuntivo? A tali quesiti hanno dato risposta le Sezioni Unite nelle pronunce in commento.

Con riferimento ai primi due quesiti, da analizzare congiuntamente, militano in favore della “improponibilità” del ricorso giurisdizionale, non preceduto dal tentativo di conciliazione innanzi al Co.Re.Com., una interpretazione letterale dell’art. 1 della legge n. 297/1999, dell’art. 1, comma XI della legge n. 249/1997 e degli artt. 3 e 4 della delibera AGCOM n. 182/02. Questi fanno più volte riferimento alla “proposizione” della domanda (sebbene il successivo regolamento AGCOM di cui alla delibera n. 173/07/Cons. parli all’art. 3, comma 1, di “improcedibilità”), ed una di tipo “sanzionatorio”, volta a scoraggiare condotte processuali defatigatorie da parte del soggetto gravato dall’onere di attivare la conciliazione, atteso che la declaratoria di mera “improcedibilità” vanificherebbe la funzione deflattiva della conciliazione medesima, imponendo al giudice di fissare un termine per l’esperimento del tentativo, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali dell’atto introduttivo del giudizio di merito.

La ragionevole durata del processo

Tuttavia, una diversa ricostruzione esegetica, condivisa dalle Sezioni Unite nella sentenza in commento (la n. 8241/2020), propende per una lettura dei medesimi criteri deflattivi del contenzioso in un’ottica costituzionalmente orientata ai principi della ragionevole durata del processo e del diritto di difesa, nonché a quello di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, tenuto conto altresì del fatto per cui proprio a livello europeo l’incentivo ai meccanismi di ADR si associa al rispetto del carattere volontario della mediazione, preservando al contempo il diritto di accesso delle parti al sistema giudiziario, che in nessun caso può essere pregiudicato da una normativa nazionale prevista in tema di conciliazione.

Condizione di proponibilità

A parere della S.C., pertanto, la suddetta matrice volontaria della procedura alternativa di soluzione della lite, alla quale ogni ordinamento europeo deve ispirarsi, si troverebbe in insanabile conflitto con una qualificazione del tentativo di conciliazione in termini di “condizione di proponibilità”, la cui declaratoria di rito travolgerebbe drasticamente gli effetti della domanda, con inevitabile pregiudizio delle ragioni attoree. Conseguentemente, a fronte dell’intervento chiarificatore delle SS.UU., il mancato esperimento del preventivo tentativo di conciliazione nelle controversie in materia di telecomunicazioni, darà luogo ad improcedibilità della domanda giudiziale, con obbligo per il giudice di sospendere il processo e fissare un termine per consentire alle parti di avviare il tentativo, con salvaguardia degli effetti sostanziali e processuali della domanda.

Ciò posto, in risposta al terzo quesito concernente l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione nella ipotesi di ricorso per decreto ingiuntivo, la sentenza n. 8240 si esprime in senso negativo, sulla scorta di diverse motivazioni. Le Sezioni Unite in primo luogo escludono tale estensione in forza del richiamo all’art. 2,​comma II, della delibera AGCOM n. 173/07, che espressamente esclude dal suo ambito applicativo (e dunque anche alla disciplina del tentativo extragiudiziale di conciliazione) le controversie attinenti al recupero dei crediti ed alla opposizione ex art. 645 c.p.c., quest’ultima interposta dall’utente finale.

La mancanza di contraddittorio tra le parti

Inoltre, il successivo art. 3, nel sancire l’improcedibilità del ricorso giurisdizionale in assenza del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione, utilizza una terminologia che è di solito associata all’atto introduttivo di un giudizio ordinario, a contraddittorio immediato. A detta esclusione soccorre altresì la giurisprudenza costituzionale che ha più volte individuato nella mancanza di contraddittorio tra le parti un elemento di incompatibilità strutturale tra il procedimento di conciliazione (che presuppone il contraddittorio) ed il provvedimento monitorio, che tale contraddittorio per sua natura non prevede, almeno nella fase sommaria (vedasi per tutte Corte Cost., n. 276/2000, sull’allora vigente tentativo obbligatorio di conciliazione in materia lavoro). A parere delle SS.UU., inoltre, “il decreto ingiuntivo e la procedura di mediazione obbligatoria (ove richiesta) rispondono entrambi, sebbene siano strumenti del tutto diversi, all’esigenza di dare una celere ed efficace risposta di giustizia, che, in presenza di emissione del decreto ingiuntivo, si traduce nell’adozione di un provvedimento adottato inaudita altera parte, a contraddittorio differito, in favore del creditore munito di prova scritta.

Il ruolo della mediazione

Quanto alla mediazione o al tentativo di conciliazione obbligatori, essi uniscono alla finalità deflattiva una funzione di prevenzione del conflitto, di pacificazione sociale e una efficace attitudine alla soddisfazione e alla salvaguardia degli interessi di entrambe le parti attraverso il dialogo anticipato che si apre, partendo dall’oggetto della contesa ma eventualmente allargando l’ampiezza del confronto ed evitando che essa sfoci in un giudizio, sotto il controllo e la guida del mediatore”. Appare di tutta evidenza, da tali premesse, che le due fattispecie non siano tra loro compatibili, atteso che il procedimento monitorio è privo proprio della fase di “dialogo”, per strutturale assenza di contraddittorio. D’altro canto, l’esigenza di immediata soddisfazione del creditore che, munito di prova scritta, agisca in monitorio, verrebbe vanificata dal previo esperimento del tentativo di conciliazione il quale, viceversa, dovrà trovare collocazione nella (eventuale) successiva fase di opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto giudizio di cognizione ordinaria che soggiace alla predetta condizione di procedibilità. Conclusivamente, ed in risposta all’ultimo quesito, le SS.UU. hanno espresso il seguente principio di diritto: “ in tema di controversie tra le società erogatrici dei servizi di telecomunicazioni e gli utenti, non è soggetto all’obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazione, previsto dall’art. 1, comma 11, della l. n. 249 del 1997, chi intenda richiedere un provvedimento monitorio, essendo il preventivo tentativo di conciliazione strutturalmente incompatibile con i procedimenti privi di contraddittorio o a contraddittorio differito.”
Avv. Giovanni Parisi

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