Voglia di cinema! I consigli di Massimo Arciresi
The Silent Man (Mark Felt: The Man Who Brought Down the White House, USA, 2017) di Peter Landesman con Liam Neeson, Diane Lane, Josh Lucas, Marton Csokas
Landesman (Parkland, Zona d’ombra) realizza un’opera complementare a The Post e speculare a Tutti gli uomini del presidente intorno alla figura defilata di Mark Felt (un chiaro Neeson), vicedirettore dell’FBI di Hoover che, alla morte di quest’ultimo, si vide scavalcare dall’inesperto Gray (bravo Csokas nel dar vita a una figura quasi incolpevolmente negativa) per volere di Nixon, di sicuro intimorito dalla sua comprovata onestà e dalla sua indiscussa preparazione. La successiva decisione di portare, in un clima di sospetto, alla luce – restando in disparte (fino alle ammissioni del 2005) – le numerose irregolarità imputabili alla Casa Bianca in quel periodo, però, non fu vendetta, bensì espressione del senso del dovere. Nessun clamore finale. Nel bel cast la Lane, di nuovo (triste) moglie impeccabile.
Il giovane Karl Marx (Le jeune Karl Marx, Francia/Belgio/Germania, 2017) di Raoul Peck con August Diehl, Stefan Konarske, Vicky Krieps, Hannah Steele
Altro biopic, forse leggermente didascalico (anzi, adatto a proiezioni scolastiche, e non è un male). Il film di Peck (autore dello straordinario doc I Am Not Your Negro) aiuta a capire in che condizioni e per rispondere a quali bisogni nacque l’ancor moderno pensiero del coerente Marx (qui Diehl). Già giovane giornalista osteggiato per il suo ribellismo, appoggiato dalla moglie Jenny (la Krieps de Il filo nascosto), nel 1844 trovò una sponda nel rampollo d’industriale eppur liberale Engels (Konarske). Scritto con Bonitzer, prodotto anche da Guédiguian. Trilinguismo annullato dal doppiaggio, come sempre.
Voglia di cinema! La frase della settimana
«Mi discriminano. È questa la verità.» Marco Giallini, ricco e disonesto imprenditore condannato ai servizi sociali per frode fiscale (sostanzialmente simpatico – ma va bene? – e umanamente troppo problematico per attribuirgli reali somiglianze), si difende dalle proteste suscitate nel centro di accoglienza in cui opera nel programmaticamente risaputo ma sapidamente sviluppato (con un finale sul cui segno è il pubblico a decidere) Io sono Tempesta (Italia, 2018) di Daniele Luchetti.