Quando una coppia decide di sposarsi, marito e moglie acquistano gli stessi diritti ed assumono gli stessi doveri tra i quali rientra, com’è noto, la fedeltà coniugale.
Secondo la legge, la fedeltà non è solo l’astensione da relazioni extraconiugali ma anche la promessa di non tradire il coniuge, la sua fiducia: l’impegno reciproco alla lealtà la cui inosservanza rappresenta pertanto una violazione grave.
Tradimento e separazione
Nella maggior parte dei casi, l’infedeltà coniugale rende intollerabile il proseguimento della relazione tra i due coniugi e costituisce causa di separazione con addebito ai sensi dell’art. 151 c.c. (Corte di Cassazione negli ultimi vent’anni. Cass. 26/1991; Cass. 3511/1994; Cass. 5557/2008; Cass. 7156/1983)
Con l’addebito, ovvero, in sostanza, una dichiarazione del Giudice che accerti chi è stato il responsabile della separazione, il coniuge “traditore” perde due diritti fondamentali assunti con il matrimonio: il diritto al mantenimento e quello alla successione ereditaria.
Dal tradimento al risarcimento
La scoperta di un tradimento, però, è un’esperienza traumatica ed in certi casi può essere fonte di un diritto al risarcimento qualora dall’infedeltà coniugale consegua una violazione a diritti stabiliti dalla Costituzione, come, ad esempio, la reputazione personale.
È quanto emerge dall’Ordinanza n. 4470 del 23 febbraio 2018, emessa dalla Corte di Cassazione, che, ritenendo la dignità e l’onore dei coniugi quali diritti costituzionalmente protetti, riconosce il diritto al risarcimento ove il comportamento di uno dei coniugi abbia cagionato nell’altro la lesione di siffatti diritti.
Per cui, ad avviso della Cassazione, non basta il tradimento, ma serve che esso sia stato effettuato con modalità tali da ledere in modo significativo diritti inviolabili del coniuge tradito, quali la dignità, l’onore o la salute.
Si parla a questo riguardo di tradimento disonorevole, che si ha quando il tradimento viene attuato con modalità in grado comportare un discredito sociale del coniuge che lo ha subito e la lesione del suo onore. Ad esempio, ciò accade se la condotta fedifraga assume evidenza sociale o il coniuge traditore si rapporta con l’altro con modalità lesive della sua dignità.
Tale risarcimento è dovuto indipendentemente dalla mancata pronuncia di addebito in sede di separazione giudiziale o dalla declaratoria di separazione consensuale.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha ricordato come la Corte d’Appello “ha espressamente riconosciuto che i doveri derivanti ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, ben può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c. (Sez. 1, Sentenza n. 18853 del 15/09/2011, Rv. 619619 – 01)”.
La dignità e l’onore di chi viene tradito
Nel contempo, la stessa Cassazione ha evidenziato che nella sentenza d’appello viene affermato che “la dignità e l’onore della moglie rappresentano beni costituzionalmente protetti e risultavano, nel caso di specie, gravemente lesi dalla condotta senz’altro peculiare tenuta dal marito; ciò nonostante il collegio d’appello ha negato il risarcimento invocato sul presupposto che la lesione dei diritti inviolabili della persona, costituendo un danno conseguenza, doveva essere specificamente allegato e provato”.
Dall’ordinanza si evince, pertanto, che la violazione dei doveri matrimoniali può integrare una responsabilità risarcitoria, ma tale tipo di danno non può mai ritenersi “in re ipsa” atteso che, pur nella ricorrenza di diritti costituzionalmente garantiti — come nel caso di specie —, è onere del danneggiato allegare e provare, anche attraverso presunzioni semplici, l’evento dannoso patito.
Il risarcimento del danno serve per reintegrare una lesione subita per via del comportamento gravemente lesivo dell’ex.
Non basta, tuttavia, il mancato rispetto degli obblighi connessi al matrimonio per dar luogo al risarcimento dei danni dovendo sussistere questi punti imprescindibili:
- Si deve aver subito un danno.
- Vi deve essere un comportamento illegittimo di qualcuno.
- Deve esistere un nesso causale tra il comportamento scorretto e il danno subito.
È possibile chiedere i danni anche all’amante?
Purtroppo, no. I tribunali sono infatti unanimi nel ritenere che il terzo estraneo al rapporto matrimoniale, ossia l’amante, non abbia alcun obbligo giuridico di astenersi dall’avere rapporti intimi con una persona sposata, in quanto il suo diritto costituzionalmente garantito alla libera espressione della propria personalità prevale su quello, parimenti costituzionale, di solidarietà e di tutela della famiglia.
La sentenza del Tribunale di Milano
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 14196/2002 ha escluso la possibilità di chiedere i danni a chi ha flirtato con una persona sposata in quanto l’amante si limiterebbe ad esercitare un proprio diritto tutelato a livello costituzionale, che permane anche se il partner è soggetto sposato e dunque non avrebbe alcun dovere di astenersi dall’interferire nella vita familiare dei coniugi.
Si segnala, tuttavia, Cass. Civ. n. 6598 del 7.3.2019 secondo cui l’amante assume il ruolo di corresponsabile quando “…con il proprio comportamento e avuto riguardo alle modalità con cui è stata condotta la relazione extraconiugale, abbia leso o concorso a violare diritti inviolabili – quali la dignità e l’onore – del coniuge tradito” ad esempio vantandosi “…della propria conquista nel comune ambiente di lavoro o ne abbia diffuso le immagini“
In questi casi, quindi, è possibile condannare l’amante al risarcimento dei danni subiti dal coniuge tradito.
Avv. Dario Coglitore