di Fabrizio Catalano
Fulvia Morganti. Nei decenni conclusivi del XIX secolo, in un’Europa dove l’attrazione per l’esotico s’alimentava ancora di miti, di fantasticherie, di flutti che s’infrangevano sulle chiglie dei piroscafi e d’avventure sentimentali – pirati dal passato misterioso, maliose baiadere, eroici custodi di tesori e svenevoli principesse da proteggere –, Jan Toorop, pittore giramondo, portò nell’iridescente costellazione del Simbolismo l’ornamento e la grazia delle marionette di Giava, l’isola in cui era nato e cresciuto.
Jan Toorop, pittore giramondo
I suoi dipinti – sovente dei disegni estenuanti nel loro succedersi e sovrapporsi di linee – rivelarono i fisici macilenti e i movimenti magici del teatro delle ombre; e lui stesso, nelle sue peregrinazioni fra Amsterdam, Bruxelles, Parigi e Vienna, con i suoi occhi e la sua pelle di brace, col suo sopracciglio perennemente e involontariamente corrucciato, ebbe una notevole influenza su numerosi altri pittori. Anello di congiunzione fra Sud e Nord, con i suoi ghirigori e le sue sinuosità ispirò Klimt e, di conseguenza, gran parte della Secessione austriaca.
Fulvia Morganti, l’artista
Alcuni anni fa, quando mi sono per la prima volta imbattuto nei quadri di Fulvia Morganti, m’è subito sembrato di riconoscervi il più recente anello di quella medesima catena evolutiva. Figure serpeggianti, contorte; forse colte da un fremito, forse irredimibilmente tormentate. Spesso si stagliano nell’ombra, eppure rimangono sommesse, mantengono lo sguardo obliquo o, addirittura, le palpebre serrate; talvolta emergono da uno sfondo latteo, lontano dalla luce della redenzione. Ori d’Oriente riconducono alla Vienna perduta, creature dal sesso mutevole soffrono, rimuginano o s’esibiscono in un universo sospeso dalle reminiscenze espressioniste; fregi foschi, dai toni cupi di caffè e grafite, evocano le leggende di Lacombe o di Gauguin.
I viaggi interiori di Fulvia Morganti
Ma i viaggi di Fulvia Morganti sono eccezionalmente interiori: si avvolgono nel suo rifugio sulle colline di Avola antica e si svolgono nelle nostre menti, sollecitate da personaggi tanto enigmatici. Schiva la competizione, l’autrice di queste opere sincere quanto inquietanti, e si sottrae alla vanità e all’egocentrismo; sperimenta nel silenzio intime, inattese relazioni con le sue tele. Si circonda di volti arcigni che si fondono e si confondono fino a squagliarsi. Di seni materni, provocanti, macchiati dal sangue. Di martiri che solo in apparenza accettano il supplizio. Come negli antichi culti della Dea che all’epoca dei sogni e dell’amore si celebravano a pochi passi dalla sua casa, la ribellione e la salvezza si declinano essenzialmente al femminile.
La donna nelle opere di Fulvia Morganti
È la donna il motore della verità. Simboli religiosi e ancestrali memorie animali si mescolano e si rincorrono, negli ultimi tempi incarcerati da griglie d’ingannevole bellezza.
Sono le griglie della società in cui viviamo, le inibizioni, gli schemi, le schiavitù che dominano il nostro quotidiano al riparo del mellifluo stratagemma della tecnologia a buon mercato. Quelle griglie – sbarre di coriaceo metallo o intangibili costrizioni – che solo l’arte può aiutarci ad abbattere. A disintegrare. A dimenticare. Perché nessuna società, se non ha il suo fulcro nella cultura – cioè in un insieme di sensibilità, consapevolezza, memoria ed etica – è destinata a sopravvivere.
Le opere sono in vendita
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