Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Una terra vicina e lontana

di Redazione

di Said Ibrahim

Storie di vita: il racconto di un immigrato in Sicilia

Voglio approfittare di questa rubrica per parlare un po’ di me. O meglio, della mia esperienza in sicilia. E’ un modo per sentirmi più vicino ai miei connazionali. Un modo per comunicare con loro e scambiarci le nostre esperienze. E’ la prima volta che ho questa opoortunità. La prima volta che qualcuno mi chiede di parlare della mia esperienza,

Io sono arrivato in Sicilia tre anni fa. Posso dire di essere scappato dalla Tunisia. Non sono mai stato bene lì. Ho sempre avuto difficoltà a trovare un lavoro. Perciò ho deciso di andare via. E’ questo che spingeva noi tunisini ad abbandonare il nostro Paese: la mancanza di lavoro.

All’inizio andai in Germania, dove ho lavorato per un anno e tre mesi. Dopo sono andato in Svizzera, dove ho lavorato per cenque mesi. E poi in Olanda, in Belgio e in Francia. Alla fine sono venuto in Sicilia perché avevo un cugino e mi sembrava e mi sembrava di essere più vicino alla mia terra. Quasi quasi mi sembrava di essere tornato in Tunisia. Dopo tutto, non è male stare con la gente di Sicilia. E’ povera gente come noi. Quando parlo di povera gente, però, non mi riferisco a tutti, ma soltanto alle persone del centro storico, dove abito io. Perché qui c’è gente che sta bene e che con noi non ha niente da dividere. Anche se è giusto dire che questa gente molto spesso è quella che ci offre un lavoro e ci affitta le case in cui abitiamo. Quindi, anche con loro, in fondo, non si sta male. Basta soltanto saperci stare e accontentarsi. Dopo tutto, non è casa nostra.

Io al mio paese ho fatto il meccanico, il falegname e ho pure lavorato nei campi. Ma poi la terra non dava niente e ho cambiato di nuovo lavoro. Ma mi hanno sempre pagato poco. Mi sono stancato e sono partito. Qui, invece, il lavoro c’è se tu accetti quello che vogliono loro.

Io lavoro con la sonda, faccio i buchi nel terreno. Lavoro 12 ore al giorno e mi danno 20 Euro. Dodici ore sono tante, ma 20 Euro, rispetto alla paga che mi davano al mio paese, non sono male.

Quando svolgo un lavoro, faccio un lavoro che mi piace. Faccio anche quello che i datori non mi chiedono. Poi vengono loro e comandano tutti. Mi confondo e non posso fare più niente. Erò, si sa che i padroni sono tutti così in qualsiasi parte del mondo.

A volte, dopo che ho lavorato tanto, vado a chiedere i soldi e loro mi dicono: “dopo, dopo, vieni sabato”. Ci vado sabato e loro mi dicono: “… sa ca fari? Vieni lunedì, anzi… ti chiamo io”.  Io aspetto. Aspetto tanto, però, alla fine, mi pagano. In fondo, qui non è male. La cosa che manca di più è la famiglia. Però, quando la famiglia è lontana mi manca. Uando era vicina, in Tunisia, mi veniva voglia di scappare.

Forse un giorno andrò in Francia o in Belgio. Non so. O forse un giorno, quando avrò i soldi a sufficienza, tornerò a casa mia. Chissà. In fondo dalla Sicilia sono proprio due bracciate di nuoto. A volte, mi siedo in riva al mare e dico: “… ora me la faccio a nuoto”. Però, poi, mi rendo conto che, in fondo, non è così facile e, allora, rimango ancora qui.    

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