Smettere di fumare, rinunciare al fumo, non è una scelta facile e comporta un percorso e un impegno che molti fumatori non riescono a mantenere. Ad oggi, esistono alternative legate alle teorie sulla riduzione del danno che possono aiutare chi vuole smettere ad abbandonare la sigaretta. Ma rappresentazioni falsate, politiche esclusiviste e tassazioni elevate impediscono l’accesso ai prodotti a rischio ridotto.
Il paper “Tobacco Harm Reduction in the 21st century”, ad opera della Dott.ssa Renée O’Leary e del Prof. Riccardo Polosa, offre una visione a 360 gradi della dipendenza da tabacco e delle sfide che i ricercatori nel campo della THR sono impegnati ad affrontare.
In tanti ricadono nella dipendenza da fumo
Purtroppo, nei percorsi di smoking cession e relativi follow up, i tassi di abbandono si attestano tra il 3% e il 12%, mentre rimangono alti i tassi di ricaduta , tra il 75% e l’80% nei primi sei mesi e il 30% e 40% anche dopo un anno di astinenza.
Ma ridurre la mortalità e il tasso di patologie fumo-correlate si può, grazie agli strumenti a rischio ridotto e alle politiche di harm reduction. Anche se tali prodotti non sono esenti da rischi, rappresentano un valida alternativa: molto spesso i fumatori fumano proprio per gratificarsi, alleviare lo stress. Offrire un’opportunità che fornisca nicotina significa fornire la possibilità di non usare le sigarette convenzionali.
Gli ostacoli alla THR
L’accesso dei fumatori ai prodotti a rischio ridotto è ostacolato sia da false percezioni in materia di tobacco harm reductions sia da tassazioni elevate. I fumatori, spaventati dalla mole di informazioni contrastanti, respingono tali prodotti, molto spesso poco invogliati dai titoli sensazionalistici usati dai media, che tratteggiano con tinte fosche tali prodotti.
“C’è una tendenza a valutare gli studi come isolati, dunque se improvvisamente uno studio in vitro, cioè sulle cellule, mostra risultati preoccupanti, diventa un indicatore unico della situazione. Gli studi vanno selezionati, analizzati e contestualizzati”, spiega la Dott.ssa Renée O’Leary.
A rendere la situazione più difficoltosa contribuiscono i bandi di tali prodotti dal mercato, che non solo impediscono l’accesso a chi vuole smettere, ma incentivano la nascita del mercato nero, come ben si è notato con i casi di EVALI negli USA, dove molto spesso i malati hanno ammesso l’uso di prodotti per il vaping acquistati illegalmente.
La nicotina
Se consideriamo i fumatori adulti, è vero che la nicotina causa dipendenza, ma non è invece causa del cancro o di infarti. Anche gli operatori del settore sanitario pubblico hanno una percezione falsata dei rischi della nicotina. Un sondaggio condotto nelle scuola di medicina, infermieristica e odontoiatria dell’Università di Louisville su 826 membri delle facoltà ha dimostrato che il 38% degli intervistati credeva che la nicotina fosse un fattore di rischio elevato per l’infarto e l’ictus e un ulteriore 50% la riteneva un fattore di rischio moderato per le stesse patologie. In Inghilterra, il 40% del pubblico crede che la nicotina sia la causa del cancro correlato al fumo.
“Negli ultimi anni la nicotina è stata demonizzata, in parte perché chi fornisce servizi sanitari non è preparato correttamente. Sappiamo per certo che la nicotina può influenzare lo sviluppo del feto o produrre tassi di natalità bassa. Ma la nicotina in un fumatore adulto di per sé non causa del cancro. Il problema risiede nel fatto che le persone utilizzano le sigarette per calmarsi, per alleviare lo stress e perché si annoiano.”
Dipendenza giovanile
Forse la più difficile barriera da abbattere. Molti ritengono che le sigarette elettroniche usate dai giovani possano portare alla dipendenza da nicotina. Ma in realtà, una ricerca condotta tra gli studenti del 12 grado in America riporta che il 26% svapa una o due volte al mese. I ricercatori nel campo della sanità pubblica devono essere aperti e sinceri sull’efficacia dei trattamenti di cessazione così che tobacco harm reduction possa essere messa nella giusta prospettiva. Servono studi che possano analizzare gli effetti a lungo termini dell’utilizzo di tali prodotti, che ne dimostrino l’efficacia, informando sia sui possibili rischi per chi vuole smettere sia sui benefici di questa scelta.
Per il Prof. Riccardo Polosa: “Non vi è dubbio che i sistemi a rilascio di nicotina senza combustione siano un bene prezioso, realistico e molto meno dannoso nella lotta contro il fumo. Una ricerca di buona qualità diventerà sempre più importante per stabilire tollerabilità, sicurezza, efficacia e potenziale di riduzione del danno di queste nuove tecnologie e per aggiungere credibilità al paradigma di riduzione del danno da tabacco. L’innovazione tecnologica sta già apportando miglioramenti significativi non solo nella sfera della qualità, ma anche per quanto riguarda efficacia e sicurezza. Questa review è composta da lavori altamente qualificati e spero che godrà del riconoscimento tra tutti coloro che si occupano di sanità pubblica”.
Allo stesso tempo una cambiamento deve avvenire: i media e le autorità di salute pubblica devono accantonare i pregiudizi sulla tabacco harm reduction e verificare fonti e studi, fornendo notizie il più possibile adeguate e congrue.
Come si legge nel paper: “Per noi impegnati nella harm reduction non c’è un punto di ritorno- noi supportiamo i nostri pazienti, le famiglie, gli amici e i concittadini per il loro diritto di avvalersi di snus, dei prodotti a tabacco riscaldato e delle sigarette elettroniche”.