Vintage’ è la sesta parola di cui si è più cercato il significato su Google. Anche Palermo, così ricca di folklore e tradizione, fa sentire forte la sua voce retrò con svariate iniziative e punti d’incontro diventati storia
di Giulia Ciattaglia*
Se è vero che il consumismo ha accompagnato l’era moderna, è altrettanto vero che la contemporaneità sembra essere sempre più volta al recupero e in alcuni casi a ciò che oggi definiamo “riciclo creativo”.
“Vintage” è la sesta parola di cui si è più cercato il significato su Google nel 2011. E non è forse questo il suo primo principio fondante?
Un articolo dell’ottobre 1950 esordisce con la domanda: “Which is the beauty of fifteen years ago?”, ma se andassimo ancora più indietro nel tempo? Il vero Vintage abbraccia idee, forme e contenuti del passato, che non solo raccontano una storia, ma che spesso la storia l’hanno anche scritta. È il caso di Poiret, considerato il primo creatore di moda modernamente intesa; di Chanel, che preparò la donna a vivere la sua prima indipendenza; di Dior, che nel 1947 lanciò quello che la storia della moda ha conosciuto come New Look; e poi ancora di Armani, di YSL, ecc.
Il vero vintage, che non va confuso con il semplice usato, si è ispirato all’arte, ha rivoluzionato la moda, ha ridisegnato la silhouette della donna, ha portato in alto il concetto del prestigio sartoriale, dell’artigianato e della sua qualità. È chiaro poi che dai singoli si passi alla massa quando, ad esempio negli anni Settanta in pieno periodo Hippie, era la critica giovanile a rivoluzionare il concetto di moda, spianando la strada a fenomeni più recenti ma di grande ispirazione come il grunge, l’underground e molti altri.
Nel nostro Bel Paese lo showroom vintage più prestigioso è senza dubbio il noto Vintage Delirium di Milano. Considerato alla pari di un museo, conosciuto e apprezzato da stilisti e ricercatori, il regno di Franco Jacassi accoglie la collezione più ampia al mondo di abiti e accessori a partire dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni d’oggi. Tessuti, ricami, bottoni e applicazioni originali dei primi anni del Novecento sono solo alcune delle meraviglie che è possibile scoprire all’interno dello spazio espositivo, che ospita peraltro anche una preziosissima area di ricerca, con riviste, libri, cataloghi, cartamodelli, figurini, disegni e stampe per tessuti risalenti in alcuni casi persino al Settecento.
Anche Palermo però, così ricca di folklore e tradizione fa sentire forte la sua voce retrò con svariate iniziative e punti d’incontro diventati storia come “Palermo VINTAGE”, l’esposizione firmata Ninni Arcuri che omaggia il costume e il design italiani d’un tempo; Déjà vu, lo showroom in via Mazzini dov’è possibile trovare oggetti d’arte, di collezione e bijoux d’epoca; e ancora il meraviglioso e particolare mercato delle pulci, nei pressi della Cattedrale, che mette in mostra in modo permanente l’antiquariato italiano, con una particolare attenzione per quello siciliano.
Il valore del vintage è dunque quasi museale, testimone di memoria collettiva che abbraccia il Paese da nord e sud, e che per qualità e rarità si rispecchia anche sull’economia. Il pregio di un capo vintage può variare considerevolmente a seconda che sia di Haute Couture, di Prêt-à-porter, di seconda linea, o che semplicemente sia stato realizzato in un periodo abbastanza trascorso da poter essere considerato vintage, ma che però non racconta nessuna storia. È un po’ come nell’arte, dove secondo il critico Bonami bisogna essere in grado di comprendere quando la bufala è una frottola e quando invece è la mozzarella più buona.
*Fashion stylist – Accademia del Lusso di Palermo