Vi consigliamo…di Massimo Arciresi
The Lobster (id., Irlanda/Grecia/GB/Francia/Olanda, 2015) di Yorgos Lanthimos con Colin Farrell, Rachel Weisz, John C. Reilly, Léa Seydoux
Un ingrassato e malinconico Colin Farrell (in una delle sue prove migliori) si aggira per uno speciale albergo in un poco invitante futuro imminente. La recente vedovanza impone a lui e a ogni single di trovare un(a) partner compatibile entro un mese e mezzo, pena la trasformazione in un animale (a scelta, almeno). Non è che coloro che si oppongono a tali tiranniche regole (e sono per questo braccati) si rivelino mentalmente più aperti. Una visione cinica e sconfortante di un’umanità egoista e a fine corsa, che soffoca il riso grottesco in singulti d’orrore. Non se ne esce indenni. Tra Kill Me Please e I viaggiatori della sera, anche se lo spietato regista greco da festival Lanthimos (è il primo suo film distribuito in Italia) pare collocarsi da qualche parte fra Buñuel, Seidl e Andersson.
Oppure…
Maze Runner – La fuga (Maze Runner: The Scorch Trials, USA, 2015) di Wes Ball con Dylan O’Brien, Kaya Scodelario, Thomas Brodie-Sangster, Ki Hong Lee.
Secondo capitolo (diretto ancora da Ball) della saga young adult scritta da James Dashner su un gruppo di ragazzi semi-smemorati che, in un avvenire distopico, cercano di sottrarsi al loro destino di cavie da laboratorio. Lasciatisi alle spalle il labirinto del primo film, possono fidarsi di chi li accoglie? E dei reietti? E di quelli che avversano il sistema? E – più importante – di se stessi? Irrompono gli zombi a movimentare il plot, e forse non è un male. Anzi, il livello è discreto. Dylan O’Brien inizia ad acquisire un consapevole carisma; particine per i consumati Clarkson, Esposito, Pepper, Taylor.
Al cinema…
La frase della settimana
«Devo fare il possibile per mantenere in vita questi ricordi.» Helen Mirren, commerciante ebrea riparata in America ai tempi del nazismo, spiega al giovane avvocato Ryan Reynolds perché per lei è importante farsi restituire dal museo Belvedere di Vienna il ritratto che Klimt fece a sua zia in Woman in Gold (id., GB, 2015) di Simon Curtis.