Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Voto degli italiani all’estero: diritto o privilegio?

di Patrizia Romano

Chi, tra i cittadini italiani residenti all’estero, può votare? Opinione pubblica divisa tra aspetto giuridico e senso reale

di Patrizia Romano

Oltre 4 milioni di italiani sono iscritti all’Aire, Anagrafe degli italiani residenti all’estero. Un registro anagrafico al quale si può accedere soltanto dopo 12 mesi di residenza in uno Stato straniero e dopo avere rinunciato al medico di base nel proprio paese di origine. Circa 3.500 milioni degli iscritti, trattandosi prevalentemente di persone adulte, hanno diritto al voto, alla candidatura e a un certo numero di seggi riservato tra Camera e Senato.

Un diritto, quello al voto, inalienabile e ‘sacro santo’, anche se comporta un notevole esborso di soldi. Ma, a prescindere dall’impegno economico e dalle risorse impiegate, viene spontaneo chiedersi fino a che punto abbia senso far votare gli italiani all’estero e quanto conti il loro voto.

Aspetto giuridico

Sotto il profilo squisitamente giuridico, niente da eccepire. Il diritto al voto degli italiani all’estero è sancito dalla Costituzione che, all’articolo 48, stabilisce tutti i requisiti e tutte le modalità. Tant’è che, nel rispetto della normativa, viene istruita una circoscrizione estera per l’elezione delle Camere, alla quale viene assegnato un numero di seggi sancito sempre dalla Costituzione.

Se ci caliamo nel dettaglio, all’interno di questa circoscrizione, vengono assegnati 12 seggi per la Camera dei deputati e 6 per il Senato, ripartiti, a loro volta, in 4 circoscrizioni estere con 5 deputati e 2 senatori per l’Europa, 4 deputati e 2 senatori per il Sudamerica, 2 deputati e 1 senatore per il Nordamerica e 1 deputato e 1 senatore per l’Africa Oceania e l’Asia Antartide.

Tirando le somme, il loro voto ha un’incidenza pari al 7 per cento rispetto al voto espresso dall’intera popolazione residente in Italia.

Ragioni obiettive

Ma ritornando al senso reale di queste elezioni, le perplessità ritornano. E ritornano perché, inevitabilmente si fanno delle considerazioni obiettive. Intanto, cominciamo con il dire che molti di coloro che si candidano, di italiano hanno soltanto le origini, infatti non sono nati in Italia e, in molti casi, addirittura, non l’hanno mai visitata. La maggior parte di loro vive tra gli Stati Uniti, il Sudamerica, la Germania, la Svizzera, la Francia, il Belgio e la Gran Bretagna. Di questi paesi, ne hanno assimilato la lingua, la cultura, lo stile di vita. Certo, in molti di loro persiste l’attaccamento alle proprie origine, ma nelle nuove generazioni, questo legame è sempre più sottile.

Per carità, nell’era dell’informazione globale e multimediale, esistono tantissime opportunità di sapere tutto e in tempo reale sul proprio Paese. Ma tenersi informati a distanza è sufficiente per decidere le sorti di un Paese in cui non vivono più e di cui hanno soltanto una cognizione tramandata dai genitori e indietro negli anni?

Abbiamo detto che il voto degli italiani all’estero ha un’incidenza pari al 7 per cento rispetto al voto espresso dall’intera popolazione residente in Italia. Questa, comunque, è l’incidenza percentuale, ma il ruolo reale, supera il dato percentuale. Basti ricordare alcuni episodi elettorali del passato per capire meglio. Nelle elezioni del 2006, per esempio, la coalizione guidata da Romano Prodi vince le elezioni alla Camera, con uno scarto di 25 mila voti, ma al Senato la differenza la fanno proprio gli eletti all’estero, garantendo,così, la maggioranza all’Unione. Altro episodio indicativo è rappresentato dalle elezioni del 2008, in cui il senatore Pallaro, residente da anni a Buenos Aires contribuisce alla caduta dello stesso governo.

Se andiamo a tracciare l’identikit dei candidati all’estero, troviamo pensionati, artisti che hanno tentato di arginare l’insuccesso nel proprio paese, tentando il successo all’estero o giovanissimi che appartengono a una generazione che sconosce l’Italia: figli, nipoti e pronipoti degli antichi emigrati, quelli, cioè, che partirono perché poveri e disperati.

Il paradosso è che dal voto vengono esclusi tutti gli italiani che si ritrovano all’estero per un periodo limitato e, quindi, di passaggio. Tra questi, gli studenti del progetto Erasmus, le forze armate in missione internazionale, missionari, ricercatori universitari; insomma, tutti coloro che si trovano in missione temporanea all’estero e che non hanno avuto l’esigenza di iscriversi all’Aire.

Coloro, invece, che hanno il diritto al voto, attraverso il sistema del worldwideweb, conosciuto nel linguaggio comune come ‘Grande Ragnatela Mondiale, cioè un servizio internet che permette di navigare e usufruire di un insieme vastissimo di contenuti, godono di ulteriori possibilità di votare. Una ventina di giorni prima della data delle elezioni in Italia, ricevono dal proprio consolato un pacco all’interno del quale sono contenuti il certificato elettorale, le schede, una busta piccola e una busta grande, già affrancata con stampato l’indirizzò del Consolato di competenza, le liste dei candidati e il vademecum per le operazioni di voto. Dove e quando vogliono, segnano la propria preferenza sulla scheda, la imbustano e la spediscono entro i 10 giorni antecedenti la data delle elezioni in Italia. E il gioco è fatto.

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