Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Zoo School. La (vera) scuola degli orrori

di Massimo Arciresi

Il primo lungometraggio del regista indipendente Andrea Tomaselli, Zoo School, passa attraverso il genere per parlarci di problemi reali.

di Massimo Arciresi

Il grande schermo rimane il miglior modo per fruire di un film, e su questo non si discute. Tuttavia oggi esistono canali alternativi progressivamente più numerosi, dalla televisione ai dvd, dalla pay per view allo streaming (legale, non c’è bisogno di specificarlo). In un momento in cui l’industria cinematografica è costretta ad adattarsi alle moderne tecnologie e in una fase nella quale i nuovi cineasti desiderano diffondere i loro lavori senza dover supplicare produttori e/o distributori sempre meno disposti a investire e – di fatto – a rischiare, non è detto che sia un male. Anzi, è una maniera per farsi conoscere rapidamente, soprattutto se si propone un risultato di qualità.

Per esempio, è una meritevole opportunità (che non esclude naturalmente auspicabili future programmazioni in sala) per il quarantaduenne catanese Andrea Tomaselli, insegnante di Italiano e Storia a Settimo Torinese e di Sceneggiatura e Regia presso la Scuola Holden di Torino, debuttante nel lungometraggio di finzione – dopo una fitta esperienza fra racconti, copioni e corti – con Zoo School, girato nel 2013 e dal giugno 2015 reperibile, a costi irrisori di noleggio e vendita, su Vimeo (www.zooschoolthemovie.com), opera che proprio nella scrittura tematica e nell’attenta direzione degli attori ha i suoi pregi maggiori.

Ambientata sapientemente all’interno dell’istituto professionale dove Tomaselli è in organico, la trama è incentrata su varie vicende paradigmatiche dello stato attuale della scuola italiana, con un professore di sostegno che si sbraccia ai consigli di classe perché non ci siano disparità di diritti fra gli allievi, due studenti (con simbolico cane al seguito) presi di mira, una preside dispotica, una vicepreside cinica, docenti esauriti, sottomessi, profittatori, un alunno fragile, un altro irrequieto, una bidella insospettabilmente sadica, una psicologa volenterosa. Ognuno di loro ha qualcosa da nascondere o da rimproverarsi, da subito o nel corso della narrazione. Che, bisogna sottolineare, attinge senza strafare da degradi – umani e legislativi – veri o verosimili (peraltro inerenti a temi scottanti come l’immigrazione, l’emarginazione, la tossicodipendenza, la pedofilia), per poi deflagrare in un finale tanto cruento quanto calibratamente allegorico, annunciato in sordina dal prologo e coerentemente privo di speranze. Se alla bravura di regista e interpreti (fra loro il più noto è Natalino Balasso, ben distante dal suo cabaret) aggiungiamo la notevole perizia del montaggio – per una durata complessiva adeguatamente “secca” di appena 78 minuti, compresi i dettagliati titoli di coda (la capacità di concisione spesso manca agli esordienti) – e l’accuratezza della fotografia, l’efficacia delle musiche, la credibilità di dialoghi non artefatti, possiamo tranquillamente asserire di essere di fronte a un prodotto di alto livello, rifinito nei particolari (persino le immancabili citazioni di classici restano educatamente sommesse): davvero pochissime le imperfezioni, anche in considerazione delle limitate risorse a disposizione. Fra i finanziatori collabora Michele Fornasero, che di recente ha firmato il bel documentario SmoKings; un’attenzione, la sua, che conferma ulteriormente la nascita di un autore da seguire. Dategli più mezzi (privi di steccati) e ci stupirà!

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