Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Coronavirus e regionalismo differenziato. E’ ancora il caso di parlarne?

Il coronavirus sta mettendo in luce le innumerevoli défaillances sanitarie regionali. Coronavirus e regionalismo differenziato. E' ancora il caso di parlarne?

di Patrizia Romano

Il ‘fai da te’ delle Regioni, generato dalla riforma del Titolo V della Costituzione in materia di regionalismo differenziato, ha toccato il fondo.
A dimostrare questa infausta fine, ancora una volta, il Coronavirus, che ha alterato la normalità e le consuetudini della vita quotidiana, sconvolgendo pure l’assetto politico.


Il Titolo V della Costituzione 2001


Per capire meglio questo concetto, ricordiamo cos’è il Titolo V. Ebbene, per Titolo V intendiamo quella parte della Costituzione in cui sono state definite le autonomie locali: Comuni, Province e Regioni. L’attuale struttura delle Regioni deriva proprio da una serie di riforme del Titolo V, cominciata negli anni Settanta e terminata con la riforma del 2001.
Lo scopo di queste riforme era quello di dare allo Stato una fisionomia più ‘federalista’, in cui, le decisioni più importanti si sarebbero spostati dallo Stato centrale, a quelle più locali.
Nel corso degli anni, le Regioni hanno ricevuto sempre più competenze e più autonomia. La più importante è la gestione nel campo della sanità. E qui, ritorniamo alla nostra considerazione iniziale. Di fronte all’emergenza sanitaria, che ha mandato in tilt un sistema già vulnerabile, ci siamo resi conto di quanto il regionalismo differenziato, tanto agognato dalle Regioni prive di autonomia speciale, sia un’assurdità.
Mai, infatti, come in questa occasione, l’idea del regionalismo differenziato è entrata in crisi.


Scontro tra Governo e le Regioni che rivendicano l’autonomia regionale

Spesso, abbiamo assistito ad accesi scontri ‘politici’, tra il Governo centrale e i governatori del Veneto e della Lombardia, cioè i due leghisti Attilio Fontana e Luca Zaia.
Per capire la natura di questi scontri, è opportuno ricordare che Veneto e Lombardia sono le due Regioni che hanno sollevato e preteso il regionalismo differenziato, rivendicando la piena autonomia regionale. Un’istanza sollevata da ostentate capacità e competenze proprio nel campo sanitario, sulle quali le due Regioni si sono sempre sentite le eccellenze dell’eccellenza.

Il paradosso dell’ospedale ‘focolaio’


La dimostrazione pratica di queste doti sublimi è stata data proprio dal Coronavirus. Basti pensare all’ospedale di Codogno, diventato l’emblema della contraddizione, perché, come tutti sappiamo, l’ospedale è diventato, paradossalmente, il principale focolaio dell’epidemia. E il fatto che proprio un ospedale di fronte all’emergenza epidemica, ne sia diventato il focolaio è un fatto molto grave. Ma ciò che colpisce di più è che, per ironia della sorte, le Regioni più pesantemente colpite dall’emergenza sanitaria sono proprio quelle che dal 2017 stanno percorrendo il cammino verso il regionalismo differenziato, in cui rivendicano la piena autonomia regionale. Autonomia che gli è stata riconosciuta proprio in materia sanitaria e nel campo dell’istruzione.


Le défaillances sanitarie regionali 


Il coronavirus sta mettendo in luce le innumerevoli défaillances sanitarie regionali. Venti servizi sanitari regionali diversi e distinti che, tutti insieme, non ne fanno uno nazionale. Basta contare gli spostamenti da una regione all’altra, per motivi di salute. Oppure, al ricorso al privato e all’intramoenia. O, ancora, alla carenza di personale sanitario, di risorse e di posti letto. Infine, agli sprechi e alle liste di attesa.
Tutto questo, in tempi non sospetti.
Per non parlare, poi, in situazione di emergenza. Ci siamo trovati con le tende davanti ai nosocomi. Ma anche con la mancanza di aree protette. Nonché con una carenza cronica di centri di rianimazione.

Una sanità impreparata

A view of the hospital of Schiavonia, near Padua, where tests for the coronavirus are performed on the population in Veneto region, northern Italy, 22 February 2020. A second person in Italy has died died after being infected with the coronavirus. The death of a woman in the northern region of Lombardy follows that of a 78-year-old man who died on Friday. The new wave of cases in Italy’s northern regions have triggered shut-downs of shops, offices and community centres.


Di fronte al Coronavirus, la nostra sanità si è rivelata impreparata; soprattutto chi si sentiva il migliore.  I medici di famiglia e gli ospedali in prima linea hanno dovuto arrampicarsi sui muri lisci per rispondere all’emergenza. Tra l’altro, annaspando alla meno peggio tra le normative che, via via, erano state varate alla luce dell’autonomia regionale in materia sanitaria.
Insomma, attraverso il Coronavirus, abbiamo toccato con mano l’inefficienza delle Regioni quando prendono iniziative autonome.
Il coronavirus ha messo in crisi quel regolamento che ancora oggi, attraverso il D.M. numero 70, definisce gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera, facendo emergere le debolezze di una politica di deospedalizzazione’, che ha comportato la dismissione di oltre 40 mila posti letto.


Nel campo sanitario occorre una regia nazionale

Questo ci ha dimostrato come di fronte a un’emergenza, occorra una regia nazionale, un’azione guidata da disposizioni prese e maturate a livello centrale.
La salute rappresenta un aspetto molto complesso e, come tale, richiede decisioni univoche. Occorre rilanciare il sistema sanitario nazionale, universale e pubblico.
Coronavirus e regionalismo differenziato, dunque. E’ necessario un forte ripensamento del regionalismo sanitario e, quindi, delle autonomie differenziate. Il problema non poteva essere eluso dalla politica. Ogni Regione ha sempre chiesto di più allo Stato per la salute, ma nessuna ha mai fatto nulla per creare un modello sanitario uniforme sul territorio nazionale. In poche parole, ogni Regione ha seguito una strada tutta propria.

La ricerca oltre i confini territoriali


Il coronavirus sta evidenziando che la ricerca nel campo della salute deve seguire un processo osmotico, aperto e di scambio continuo. Come tale, non può essere pensato con confini territoriali. Quello sanitario è un sistema complesso che non ammette visioni ristrette, corporative, campanilistico. La salute è legata a tante variabili: la ricerca, i protocolli terapeutici, il personale sanitario, il rapporto tra posti letto e utenza.
In una prospettiva di esercizio ordinario delle funzioni, le capacità delle strutture amministrative e la sostenibilità finanziaria sono risultate, tutto sommato, accettabili. Ma, in una situazione di esercizio straordinario delle funzioni, dettata dall’emergenza, sono emerse le numerose difficoltà.
Le soluzioni diagnostiche, terapeutiche e organizzative sono molto complesse e superano i limiti territoriali.
Il dualismo Coronavirus e regionalismo differenziato potrebbe essere un’occasione per riflettere su un’infinità di cose.
Ma la politica saprà cogliere l’occasione o si perderà tra polemiche e accuse?

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