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Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Donne prigioniere in casa

Restare a casa accresce i pericoli per le vittime di maltrattamenti. Le richieste di aiuto sono cresciute vertiginosamente. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, sono aumentate del 74,5 per cento. Per conoscere meglio il gravissimo fenomeno della violenza sulla donna ai tempi del coronavirus, ci siamo rivolti ad alcuni centri antiviolenza distribuiti sul territorio nazionale. Viaggio tra le prigioniere in casa

di Patrizia Romano

L’allarme era stato lanciato fin dall’inizio, ma adesso i dati confermano i timori. Si prevedeva che per le donne maltrattate in famiglia, la quarantena avrebbe avuto ripercussioni molto gravi. Sono come prigioniere in casa.
La violenza in famiglia è un problema atavico quanto l’esistenza dell’uomo. Negli ultimi anni, però, si è fortemente acuito. Negli ultimi mesi, poi, ha subito una recrudescenza inaudita.
L’isolamento, la convivenza forzata e l’instabilità socio-economica in questo periodo di emergenza coronavirus hanno reso le donne e i loro figli ancora più vulnerabili alla violenza domestica.

I dati


La rete D.i.Re. conferma che restare a casa accresce i pericoli per le vittime di maltrattamenti. Le richieste di aiuto sono cresciute vertiginosamente. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, sono aumentate del 74,5 per cento.
Per conoscere meglio il gravissimo fenomeno della violenza sulla donna ai tempi del coronavirus, ci siamo rivolti ad alcuni centri antiviolenza distribuiti sul territorio nazionale.
Gli abbiamo posto alcune domande, chiedendogli di tracciare gli aspetti più salienti del fenomeno.
Ne è venuto fuori un quadro molto sconfortante, con risvolti veramente raccapriccianti su queste prigioniere in casa.

Radiografia del fenomeno

L’Inchiesta Sicilia – Su che cifre ruota la percentuale di donne che si rivolge al vostro centro da quando siamo costretti a stare reclusi in casa?


C.A.I. Centro Antiviolenza Italiano

Ivana Giudice, responsabile C.A.I. Centro Antiviolenza Italiano
Ad oggi, si può affermare che non si è registrata alcuna variazione significativa, in termini di percentuale, delle donne che si rivolgono al nostro centro C.A.I.. Ciò che, invece, si è osservato durante questo periodo di quarantena, è una diversità di approccio, nel senso che è aumentato il numero di segnalazioni di abusi domestici da parte di persone vicine alle donne vittime di violenza. E’ come se fosse stata acquisita una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’aiuto solidale da parte di persone terze. E, questo dato, ci conforta non poco, perché evidenzia il maggiore coinvolgimento della comunità nel contrasto alla violenza sulle donne.
Il periodo che stiamo vivendo, impositivo di convivenze forzate, è limitativo da diversi punti di vista. Se è vero che, da un lato, le telefonate delle vittime possono essere relativamente diminuite, sicuramente non per una riduzione del fenomeno in questione, è altrettanto vero che esistono, grazie alla tecnologia, differenti modalità di comunicazione di cui la donna può avvalersi. I social ne sono un esempio. Sono un po’ meno prigioniere in casa.


Associazione Galatea Onlus

Denise Franzone, presidente Associazione Galatea Onlus Durante il lockdown abbiamo registrato un quasi totale abbattimento delle richieste di aiuto e di ascolto telefonico; in tale periodo abbiamo due volte attivato protocolli di emergenza, in collaborazione con le forze dell’ordine e con il servizio sociale, per l’inserimento di due donne (in un dei due casi con minori a seguito) in casa protetta in seguito a seguito di maltrattamento intrafamiliare


Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa

Daniela La Runa, presidente del Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa Da quando sono state attivate le misure di contenimento si è avuto un azzeramento delle chiamate al centralino h24. Questo stato di cose ci ha fatto immediatamente preoccupare ben capendo che l’interruzione improvvisa delle chiamate è stata causata dallo stato di isolamento delle vittime chiuse in casa con i maltrattanti, e quindi evidentemente impossibilitate anche a chiamare. Abbiamo quindi cercato di pubblicizzare quanto più possibile il nostro numero h24 e attivato anche un servizio di messaggistica whattsapp h24, ritenendo che magari più che telefonare, con il rischio di essere ascoltate dal partner, potessero usare questo strumento in maniera più agevole per chiedere aiuto o per segnalare situazioni di violenza.

La novità ai centralini

Di contro però ai nostri centralini si è presentata una grande novità: sono iniziate ad arrivare chiamate di persone segnalanti episodi di violenza nel loro vicinato. Non sappiamo spiegare le motivazioni di ciò, probabilmente un innalzamento dei livelli di attenzione delle persone o una maggiore sensibilizzazione della società ad un fenomeno ormai così frequente e dalla pericolosa evoluzione. Ciò ci ha permesso di dare delle indicazioni comportamentali e di avviare anche delle segnalazioni alle forze dell’ordine. Dimostra una certa sensibilità verso queste donne priogiere in casa

Le chiamate spezzate dalle feste

Il blocco delle chiamate si è, però, spezzato di botto, il giorno di Venerdi Santo. In occasione di ogni festività, statisticamente, c’è sempre un aumento esponenziale delle telefonate che arrivano al nostro centralino, per le quali spesso e volentieri si attivano procedure d’emergenza che portano le donne anche ad essere collocate in strutture protette ad indirizzo segreto. Nonostante l’emergenza sanitaria questo trend si è puntualmente presentato alla vigilia della Pasqua. Le telefonate sono ricominciate con inaspettata frequenza con richieste continue di collocamenti fuori dalla residenza familiare per i maltrattamenti e ad oggi il centralino continua a squillare.
Anche lo strumento della messagistica whattsapp ha iniziato ad essere usato con richieste di donne prigioniere in casa che cercavano supporto e informazioni su come muoversi per porre fine alle loro situazioni.

Quanto il Cura Italia soddisfa il bisogno

L’Inchiesta Sicilia – Il Cura Italia ha annunciato 30 milioni per far fronte a questa emergenza nell’emergenza. Saranno sufficienti a soddisfare il bisogno?


C.A.I. Centro Antiviolenza Italiano

Ivana Giudice, responsabile C.A.I. Centro Antiviolenza Italiano
Relativamente alla previsione di uno stanziamento pari a 3 milioni di Euro, si può solo affermare che non sono pochi, ma neanche tanti, considerato che le donne necessitano non solo di un luogo sicuro pro tempore, per sottrarsi al loro carnefice, ma hanno la concreta esigenza di iniziare una nuova vita. Tuttavia, per farlo, devono sentirsi al sicuro. A tal fine, sarebbe necessario un Programma Nazionale definito e concreto, che incorpori un capillare Programma di Protezione, soprattutto per quelle donne prigioniere in casa che permangono nella situazione di pericolo, nonché un Programma di Inquadramento e Inserimento Lavorativo per le donne che sono prive di reddito.


Associazione Galatea Onlus

Denise Franzone, presidente Associazione Galatea Onlus – Riteniamo che la drastica riduzione di telefonate sia legata alla limitazione libertà personale delle donne che coabitano con i partener violenti pertanto abbiamo attivato azioni di informazione locale, attraverso la stampa e i social network, al fine di fornire indicazioni per contattare il centro antiviolenza tramite chat di messaggistica istantanea


Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa

Daniela La Runa, presidente del Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa – Non sono in grado di fare valutazioni globali. Rifletto a voce alta, facendo semplicisticamente un calcolo veloce: una dotazione di 30.000.000,00 che divisa in 20 regioni sarebbe pari ad uno stanziamento di circa 1.500.000,00 a regione, che suddiviso tra una media circa 100,00 strutture per regione ( tra cav. Case rifugio centri accoglienza) sarebbe pari a 15.000,00 euro cadauna. E giro la domanda: Tenuto conto di spese, utenze, personale e sfondi di sostegno alle donne vittime di violenze sarà sufficiente?

La separazione fisica dall’aggressore

L’Inchiesta Sicilia – Molto spesso, l’unica soluzione è la separazione fisica della donna dall’uomo. Come fare in questo periodo che ciò è proprio impossibile?


C.A.I. Centro Antiviolenza Italiano

Ivana Giudice, responsabile C.A.I. Centro Antiviolenza Italiano
In caso di violenze domestiche, la necessità di separare fisicamente la donna dall’uomo è condizione imprescindibile per sottrarla alla furia della violenza. Dal 21 Febbraio ad oggi, le vittime di femminicidio sono state numerose. Il periodo di quarantena ha comportato una convivenza forzata e continuata, che a sua volta ha esacerbato ai limiti della sopportazione i rapporti tra uomo e donne prigioniere in casa.

Lo stress


Le situazioni di stress amplificano maggiormente la reazione violenta, anche dinanzi alle banalità.
In questi casi è alto il rischio che nelle donne si inneschi quel meccanismo definito “propensione alla vittimizzazione”, ovvero la reazione passiva alle aggressioni maschili, anche ripetute. In altri termini, la rassegnazione alla violenza induce le donne a diventare dipendenti dalla persona abusante. E’ importante, per questo, che siano le persone vicine alla vittima a contattare i centri antiviolenza, affinché, mediante un approccio delicato ma incisivo, la donna inizi a contestualizzare il problema. E, a loro volta, i centri antiviolenza è necessario che interagiscano costantemente con le forze dell’ordine, trasmettendone le relative informazioni, perché solo una concertazione adeguata e mirata può aiutare la vittima a liberarsi dalla morsa della violenza.


Associazione Galatea Onlus

Denise Franzone, presidente Associazione Galatea Onlus – Da sempre i centri antiviolenza soffrono per la mancanza dei fondi di sostegno e, quelli già stanziati o che saranno stanziati, sono assoggettati ad una burocrazia farraginosa che non consente una fruizione immediata (basti pensare al fatto che, per ogni bando regionale pubblicato, le associazioni di volontariato come la nostra, devono anticipare le somme che, dopo meticolosa rendicontazione finanziaria, vengono rimborsate). Inoltre, il mancato riconoscimento stabile e continuativo del sostegno finanziario ai centri antiviolenza è di fatto una squalifica dell’impegno e del lavoro di tutte le professioniste che, a vario titolo, si adoperando nella lotta alla violenza di genere e nella prevenzione


Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa

Daniela La Runa, presidente del Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa – La violenza non è mai sopportabile e noi comunque e sempre diciamo a tutte le donne che al primo schiaffo devono lasciare il proprio uomo. In tempi di contenimento da covid 19 la situazione rende tutto molto difficoltoso. Però, se la violenza aumenta in modo esponenziale o ci sono tutti i campanelli d’allarme perché ciò possa accadere, l’unica cosa da fare è rivolgersi subito alle forze dell’ordine e lasciare il domicilio coniugale, chiedendo rifugio nei centri antiviolenza o se non si vogliono seguire certi percorsi, chiedendo rifugio ai familiari.

La fuga


La fuga dalla violenza certamente configura una necessità che deroga al divieto di spostamento. Diventano sempre più prigioniere in casa. E’ certo assurdo pensare ancora oggi che in caso di violenza familiare sia la donna, spesso con i figli minori, a dover lasciare la propria casa per mettersi in protezione, con tutte le difficoltà conseguenti. Basta immaginarsi una donna che vada via nottetempo lasciando effetti personali, vestiti, libri dei bambini, pc per didattica a distanza etc etc. Ci si chiede, ma perché non allontanare il maltrattante? Perché purtroppo viviamo in un sistema in cui quella che dovrebbe essere la regola generale è solo un’eccezione. Tanto che la Procura di Trento, l’unica di cui ho notizia, ha addirittura creato delle linee guida ad hoc che prevedono l’allontanamento del maltrattante in tempo di covid 19. E questo già la dice lunga sulla inadeguatezza delle modalità sistemiche a reagire al fenomeno della violenza.

L’aiuto del Governo

L’Inchiesta Sicilia – Coronavirus, aumentano le violenze sulle donne, ma il Governo, da quello che dichiarano alcuni centri, non sostiene i centri antiviolenza. E’ vero?


C.A.I. Centro Antiviolenza Italiano


Ivana Giudice, responsabile C.A.I. Centro Antiviolenza Italiano
Per quanto riguarda gli aiuti o meno del Governo ai Centri Antiviolenza, più che altro sarebbe auspicabile consentire ad ogni Centro Antiviolenza di interagire con il Governo attraverso Tavoli Tecnici da istituire e prevedere a cadenza semestrale, per raccogliere dati e valutare proposte e/o suggerimenti. Ma, sino ad ora, non risulta che sia stato fatto. Posso solo dire che come C.A.I. l’unica volta che abbiamo incontrato un rappresentante del Governo è stato nel marzo del 2018, quando l’allora Sottosegretario al Ministero della Giustizia, in occasione di una visita in Basilicata, ci chiese un incontro per raccogliere suggerimenti e dati sulla violenza contro le donne, facendo tesoro delle nostre proposte.Infine, in riferimento al numero 1522, non diamo adito a quanto potrebbe essere stato riferitoci in alcune occasioni. Siamo un Centro indipendente, che lavora in un certo modo. Riceviamo richieste di aiuto da tutta Italia, e anche molte dalla Sicilia. Ogni volta, anche a distanza, siamo riusciti a fornire sostegno e tutela. E lo facciamo anche in questo momento. Perché la vita di una donna vale.


Associazione Galatea Onlus

Denise Franzone, presidente Associazione Galatea Onlus – Questo periodo di emergenza socio sanitaria ha aggravato le condizioni di rischio delle donne e ha altresì reso difficile l’attivazione del sostegno concreto alle utenti; a Caltanissetta, grazie ad un lavoro di rete con il privato sociale, è stata identificata una struttura ad hoc per effettuare eventuali rifugi ma riteniamo che il giusto e doveroso allontanamento debba essere attivato sull’uomo maltrattante (non possono essere le donne a pagare oltre al danno anche la beffa!) Dunque, oltre a dover sostenere fattivamente in centri antiviolenza, il Governo dovrebbe colmare i gap legislativi di una norma che non tutela interamente la donna; uno Stato che tutela dovrebbe poi anche pensare ad azioni concrete di inserimento agevolato al lavoro per rendere davvero forti e libere le donne.


Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa

Daniela La Runa, presidente del Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa – Al centro antiviolenza Ipazia sono attive 40 volontarie, tantissime con competenze specifiche che fanno turni fisici senza avere mai alcun rimborso né alcun gettone di presenza. Anzi noi per adeguarci agli standard regionali paghiamo di tasca nostra il canone di locazione e le utenze. Sentiamo sempre parlare di fondi destinati al settore, convogliati in progetti specifici, a cui a volte abbiamo anche partecipato, ma un centro antiviolenza per funzionare ha bisogno di locali, utenze, risorse, sempre, e non solo perché convogliate in progetti specifici di durata temporanea. Il giorno in cui ci daranno delle risorse stabili per spese e personale e per supportare le donne che si rivolgono a noi, soltanto allora potremo dire che i fondi sostengono i centri antiviolenza.

Numero speciale 1522

L’Inchiesta Sicilia – E’ stato istituito un numero speciale del Ministero: il 1522. E’ veramente di ausilio?


Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa


Daniela La Runa, presidente del Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa – Si. Il numero 1522 è un numero nazionale che, dopo un primo filtro, indica alle utenti i centri antiviolenza più vicini al loro territorio. Molte delle donne che chiamano al nostro centro hanno ottenuto i nostri recapiti grazie al 1522. E’ una mano tesa in aiuto, un primo aggancio necessario.




Centro antiviolenza Ipazia di Siracusa

Denise Franzone, presidente Associazione Galatea Onlus – 1522 ha una mappatura su tutto il territorio nazionale dei centri antiviolenza e pertanto è di ausilio per effettuare gli invii delle donne che richiedono aiuto, non va oltre (ovviamente) la successiva presa in carico dell’utente; molto importante è la loro campagna di sensibilizzazione che, in questo periodo, è stata potenziata.


Commissione Pari opportunità Comune di Cagliari Associazione ‘Donne al traguardo’
Associazione ‘Donna Ceteris’

Stefania Loi, presidente Commissione Pari opportunità Comune di Cagliari e associazioni ‘Donne al traguardo’ e ‘Donna Ceteris’
In qualità di presidente Commissione Pari opportunità Comune di Cagliari, ho raccolto queste informazioni contattando direttamente le referenti delle due associazioni presenti nel territorio di Cagliari e provincia: “Donne al traguardo” e “Donna Ceteris”.
La prima presta assistenza alle vittime di violenza di età compresa tra i 41 e 50 anni, assicurando, per le situazioni più estreme, fino a 8 posti letto per l’accoglienza.

La tutela in quarantena

Tenendo presente che non è semplice tutelare le donne in simili circostanze, in quanto le vittime, al fine di conservare una certa stabilità per figli (in alcuni casi minorenni o con disabilità), rifiutano l’inserimento in case rifugio. In questo periodo di quarantena obbligatoria, l’associazione mi riferisce che il numero dei contatti è rimasto pressoché invariato, anche rispetto al dato nazionale. Questa situazione, ha permesso che considerata la difficoltà di spostamento, alcune donne abbiano chiesto e trovato ricovero temporaneo presso la propria famiglia di origine. È interessante anche rilevare che questa associazione ha istituito, ante Covid19, un percorso per i maltrattanti. La difficoltà maggiore incontrata è data dalla loro mancata consapevolezza.


Radiografia del fenomeno

All’opposto Donna Ceteris, che mi informa che, sulla scia di quanto successo in altre parti d’Italia, all’inizio della quarantena ha registrato una settimana di stasi, con chiamate da parte di donne già conosciute e che avevano già avviato un percorso con tale associazione. Il dato si è poi normalizzato, registrando una diminuzione dei contatti diretti a fronte di un aumento di quelli indiretti, nel senso che le istanze di aiuto sono pervenute da familiari, amici o vicini di casa. Molte segnalazioni sono state fatte tramite Facebook o via posta elettronica.

Interventi di soccorso


In base alla problematica, gli interventi di soccorso vengono attuati mediante videochiamata o email da operatrici formate, e, nei casi più problematici, è prevista anche la partecipazione di una psicologa.
L’associazione gestisce una media di 20/25 persone alla settimana, di età compresa tra i 35 ai 50 anni.
Il suo supporto verso le donne che hanno iniziato un cammino di denuncia è stato fruttuoso; esse, infatti, non vivono più con il loro maltrattante; tuttavia, in questo preciso momento storico, il rischio maggiore è corso da chi abbia intrapreso questa strada poco prima o durante la quarantena e che, per tale ragione, viva ancora in casa con il coniuge/compagno violento (quest’ultimo passaggio risulta importante, perché è la donna che matura la consapevolezza di andare via, di allontanarsi da quella persona e riprendere in mano la propria vita).

Con il covid19 aumenta la disoccupazione tra le donne


A causa del Covid-19, abbiamo registrato un dato negativo sul fronte occupazionale: infatti, 10 su 36 donne (a cui sono state assegnate altrettante borse lavoro), avrebbero dovute essere inserite in un percorso lavorativo di tre mesi a partire dal 1° di marzo, si sono trovate bloccate.

Uno sportello di ascolto

Uno strumento creato ad hoc in questo periodo da Donna Ceteris, è rappresentato da uno sportello di ascolto per disagio familiare virtuale, attivato presso una scuola del cagliaritano, da cui è emerso l’aggravarsi del problema della violenza assistita, conseguenza quasi scontata, visto che bambini e adolescenti sono costretti a stare in casa con il maltrattante.

Lo sportello di ascolto, che è operativo H24 in entrambe le associazioni, risponde alle chiamate provenienti anche dal numero verde nazionale. Il personale specializzato conta psicologi, educatori e assistenti sociali.

Lacune nelle misure

Per quanto riguarda le misure a partire dal 4 maggio, c’è una lacuna da parte del legislatore. Le associazioni riferiscono di non sapere come garantire la propria e altrui tutela, non avendo a disposizione alcun presidio sanitario per l’eventuale ripresa dei colloqui.
Di conseguenza, le operatrici sono preoccupate, dal momento che gli incontri sono frontali e il rischio di un eventuale contagio risulta essere particolarmente alto.

Risorse esigue


Ripartire nell’incertezza diventa pertanto pericoloso: benché l’erogazione di risorse economiche è fondamentale, è altresì necessario che questi capitali siano adeguati alle esigenze delle associazioni.
Quello che si sta vivendo è un momento drammatico che non può lasciare indifferenti le istituzioni.

Servono più controlli

Nel mese di marzo, per arginare questa problematica, col Sindaco di Cagliari Paolo Truzzu e l’Assessora alle Pari Opportunità Rita Dedola, abbiamo scritto alla Procura di Cagliari, chiedendo di intensificare i controlli.
Non solo: proprio per denunciare a gran voce questo fatto, la sottoscritta, ha realizzato un post sui principali canali social dal titolo “Indossa una mascherina rossa”, indicando e diffondendo in questa occasione tutti i numeri utili.
Numeri che a breve si potranno visualizzare nella home page del sito Istituzionale del Comune di Cagliari.
Per dare prosecuzione a questo lavoro stiamo cercando di coinvolgere anche la Regione Sardegna.


Centri Antiviolenza Rete dei Cav Sanfra

Centri Antiviolenza Rete Sanfra
A causa dell’emergenza Covid-19, nel primo periodo abbiamo ravvisato un calo del numero di donne che richiedevano di intraprendere un percorso presso i Centri Antiviolenza. 
Al fine di far fronte a tale problematica, considerando che questo calo non indicava assolutamente una riduzione degli episodi di violenza, l’equipe dei centri ha provveduto ad un aumento e rinforzo delle modalità di diffusione e comunicazione.

Linee guida


Nello specifico, sono state diffuse Linee Guida per le donne vittime di violenza e, durante il periodo di emergenza, prigioniere in casa. Sono state ampliate le modalità di accesso con la possibilità di utilizzare come ausilio anche strumenti come whatsapp e messenger ed è stato sponsorizzato lo Sportello Online per le donne. Infine, l’equipe si è adeguata immediatamente, restando a disposizione delle donne, proseguendo le proprie attività con colloqui telefonici e videochiamate, al fine di favorire la prosecuzione dei colloqui.

Aumento di richieste di aiuto


Grazie a tale lavoro, durante le ultime settimane, il numero di accessi e quindi di richieste rinvenute da parte delle donne sono aumentate, soprattutto in termini di richieste di aiuto in emergenza.
In taluni casi, prosegue la collaborazione con le strutture protette ad indirizzo segreto al fine di garantire la possibile di tutela con un allontanamento di donne e minori.
Qualora, le strutture protette non abbiano la possibilità di garantire il periodo di quarantena, considerando la necessità di attivare tutti i sistemi di prevenzione e sicurezza della salute, anche delle donne che sono già ospiti delle stesse strutture, l’equipe dei nostri centri ha provveduto a creare una mappatura territoriale di ulteriori strutture.
I nostri centri hanno inoltre una reperibilità h24 con un numero verde e di cellullare che viene diffuso sia tramite le nostre pubblicazioni sia anche dal 1522.

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