Le percezioni sono tutte cambiate e i confini stessi degli Stati sembrano essere stati abbattuti: il Coronavirus ha modificato tutte le nostre certezze trasformandole in incertezze e ci tiene tutti in una dimensione surreale. Quello che stiamo vivendo oggi è un momento unico, nella sua accezione negativa. Nessuna certezza su quando se ne verrà fuori e su come.
I siciliani, abituati a cercare in giro per il mondo la loro realizzazione lavorativa, sono da sempre un popolo di migranti. E una parte di questi migranti di nuova generazione, una sera di un sabato, si è spostata in massa per cercare rifugio nei confini dell’amata Trinacria, in cerca della salvezza da un minaccioso contagio. Mettendo, però, a rischio l’incolumità dei loro stessi familiari in terra di Sicilia. Un comportamento non condiviso da molti, inclusi tutti coloro i quali hanno, esprimendo grande senso civico, deciso di restare al nord per non diventare potenziali involontari latori di contagio.
Senso di responsabilità
Ma che percezione c’è di questi giorni così difficili per il nostro paese, al di fuori dei confini della nostra Isola, tra i nostri conterranei che vivono all’estero?
Ne parliamo con Franco Mendolia, presidente dell’Associazione messinese di Montreal
“Purtroppo è triste vedere quello che succede in Italia col Coronavirus – dice Mendolia -. Tante persone che muoiono…. credo che sia una grave realtà, oltre ogni immaginazione. Speriamo solo che il popolo italiano sia responsabile e si impegni a seguire le regole. Non c’è alternativa ed è il minimo che si possa fare. Qui in Canada abbiamo circa 1000 casi di contagiati dal virus ma già da una settimana è tutto fermo”.
Anche in Canada misure stringenti, dunque?
“Sì. Il governo si prepara in caso di bisogno, si prepara a un’emergenza che sicuramente arriverà. Tanti connazionali che erano fuori per l’inverno stanno rientrando in Canada, ho parlato con diversi di loro: sono felici di essere tornati a casa loro a Montreal dove resteranno per 14 giorni, i figli hanno portato tutto il necessario perché possano rimanere a casa per il bene loro e degli altri. Purtroppo quando vedo certe situazioni in Italia o leggo certi commenti sui social, secondo cui si deve uscire tutti i giorni per fare la spesa, non mi fa piacere. Possiamo e dobbiamo cambiare le nostre abitudini e fare la spesa in modo che basti per una settimana. Magari sembreranno solo opinioni personali ma dobbiamo essere responsabili e disciplinati. Non è una situazione facile. Come Associazione Messinese a Montreal abbiamo ovviamente cancellato delle attività che avevamo in programma, a causa del Coronavirus. Ma dobbiamo essere coscienti che la salute è la cosa più importante, torneranno i tempi delle riunioni e delle feste. Voglio mandare un caro saluto a tutti e un’esortazione: restate a casa!”
Gli USA e il Coronavirus in Italia
Irene Bellomo è una palermitana che vive da tantissimi anni in California con la sua famiglia, in una zona, la Bay Area, in cui il numero dei contagi è il più alto di tutto lo Stato.
“Qui molta gente viaggia per lavoro – ci dice – per cui i contagi da Coronavirus sono schizzati. La percezione di ciò che sta accadendo in Italia? Sembra che si sia in una fase di non ritorno, non sarà possibile aiutare tutti se i contagi proseguiranno con questo ritmo. Le strutture sanitarie non saranno sufficienti. E si ha la sensazione che tutti flash mob altro non siano che dimostrazione del fatto che siamo un popolo che non riesce a prendere le cose troppo sul serio”.
In America si parla di quanto accade in Italia in questi giorni?
“Sì. Se ne parla parecchio, ma il popolo italiano è sempre stato considerato un popolo che non sa stare alle regole, che tende a fare ciò che vuole quando vuole, difficile da tenere sotto controllo se non rispetta le disposizioni. Abbiamo visto quella fuga dal nord verso il sud: un massacro annunciato. E al sud, lo sappiamo, gli ospedali sono quel che sono. Ha colpito anche il modo in cui molti italiani, attraverso i social, abbiano deciso di offendere i cinesi, dando loro degli untori, salvo poi ribaltare i giudizi appena questi hanno inviato i primi aiuti. Qui in America, ad esempio, c’è un grande rispetto per i cinesi e nemmeno in questo periodo ho sentito o letto nulla contro di loro”.
I nostri giovani rimasti al nord
E anche se molti hanno raccontato già le loro storie e le loro percezioni sui social, noi de L’InchiestaSicilia abbiamo chiesto a Silvia, giovane siciliana trapiantata a Milano, in attesa di conoscere la data della sua laurea, che avverrà verosimilmente per via telematica, come vive questi giorni.
“Chiusa in casa, come tutti. Per fortuna le nuove tecnologie ci vengono in aiuto consentendoci di fare tutto da casa, incluso ordinare la spesa, ma è veramente dura. C’è anche la lontananza da casa, dagli affetti più cari che pesa tanto, ma restare qui era l’unica decisione da prendere. Certo il cuore mi avrebbe fatto correre in Sicilia, ma bisognava fermarsi un attimo e riflettere su quali avrebbero potuto essere le conseguenze. È stata una decisione per cui ho ricevuto il pieno appoggio dei miei genitori che temevano per me, pensavano che anche gli stessi spostamenti avrebbero potuto essere un rischio per me”.
Com’è Milano in questi giorni?
“Insolitamente silenziosa. Si ha la sensazione di percepire la sofferenza, dalle chiese si sentono i rintocchi delle campane ma sono tutte chiuse, dalla finestra vedo la strada deserta, pochissime le macchine, i mezzi di superficie viaggiano vuoti. È una strana sensazione, chi ti consegna la spesa a domicilio, che paghi al momento dell’ordine, suona al campanello e poi lascia tutto dietro la porta, si evitano tutti i contatti. Molti dei miei colleghi e colleghe hanno preso la decisione di restare qui e non scappare al sud. Ovviamente aspettiamo con ansia il giorno in cui tutto ciò finirà e si possa riacquistare quella serena normalità che oggi sembra così lontana e si possa tornare al più presto ad abbracciarci”.